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Nope | Il cinema totale di Jordan Peele e quella paura che arriva dal cielo

Se questa è un’epoca dominata dal terrore, il film con Daniel Kaluuya rielabora il concetto del predatore

Nope e uno squalo tra le nuvole
Nope e uno squalo tra le nuvole

ROMA – Evitiamo importanti rivelazioni – che rovinerebbero la visione – e andiamo subito al punto: Nope di Jordan Peele non è ciò che potete aspettarvi. Non è un horror, o almeno non lo è nel senso stretto del genere, anche perché le etichette non esistono più da un pezzo (e meno male); non è un thriller celebrale, né è un evanescente affresco sovraccaricato di metafore studiate a tavolino. Le metafore ci sono, l’estetica è cool al punto giusto, ma è tutto funzionala ad una storia che parte dai personaggi, allargandosi poi verso un’immagine totalizzante che racchiude la natura (ci sono i cavalli, le nuvole, la polvere, la pioggia) e racchiude le idiosincrasie di Hollywood. Più giù, ma nemmeno poi troppo, una storia familiare. Per questo, la sceneggiatura di Peele (e quindi l’idea filmica dell’autore), ha la capacità di scorrere verticalmente e orizzontalmente, divenendo una inaspettata e sarcastica alternativa che insegue un senso cinematografico astratto solo all’apparenza.

Ecco, l’apparenza: sopra le teste di OJ ed Emerald Haywood (Daniel Kaluuya e Keke Palmer), nel loro sperduto ranch di Agua Dulce, California, succede qualcosa di strano. I cavalli, che allevano per essere poi impegnati sui set cinematografici, sono spesso agitati, irrequieti, addirittura tendono a scappare. Non solo, di tanto in tanto si sente uno strano e inquietante verso provenire dalle nuvole. Una sorta di rumore stridulo, un nitrito creepy, oscuro, sovrannaturale. Come se non bastasse, il loro padre è morto in una circostanza alquanto bizzarra: una moneta da mezzo dollaro è piovuta dal cielo, colpendolo in pieno. Secondo le autorità un aereo ha perso i bagagli. Da non crederci, ei ntenzionati a far luce sull’accaduto, OJ e sua sorella Emerald cominciano ad indagare sugli strambi fenomeni, scoperchiando qualcosa che va oltre i confini della realtà.

Daniel Kaluuya in Nope
Daniel Kaluuya in Nope

E naturalmente non è un caso, dato che Nope (cosa significa? È un acronimo, ma non vi sveliamo altro!) è fortemente ancorato alla genialità pop di una serie cult come Ai Confini della Realtà – The Twilight Zone, si avvicina ad Alfred Hitchcock, e in particolar modo alla concezione spettacolare e rivoluzionaria di un film leggendario. Quale? Lo Squalo di Steve Spielberg. Guardando il terzo film di Jordan Peele è infatti impossibile non pensare alla pellicola di Spielberg, e come fu per Jaws anche l’enorme presenza che aleggia su Nope può essere (ri)letta come similitudine delle paure ancestrali, quelle nascoste e pronte a sferrare l’attacco. Insomma, Lo Squalo tra le nuvole. O meglio ancora, come sarebbe Lo Squalo nel 2022. Del resto, Nope, arriva (casualmente?) in un momento socialmente nevralgico: oggi è il terrore a dominare le nostre vite, inconsciamente siamo in balia di una straniante realtà che tende a controllarci tramite iniezioni di ansie e di timori, suffragate da predatori territoriali con cui è (quasi) impossibile scendere a patti. L’unica soluzione? Affrontarli, metterli alle corde, senza la paura di guardarli dritti negli occhi.

Una scena di Nope. Protagonista femminile, la rivelazione Keke Palmer
Una scena di Nope. Protagonista femminile, la rivelazione Keke Palmer

In questo modo, intraprendendo una strada altamente spettacolare e ben delineata, ancora una volta il cinema rielabora e anticipa gli umori, e la sensibilità di Nope – che non si tira indietro nel lanciare diverse bordate al mondo dello show biz, riempito di fantocci, registi megalomani e imbonitori senza scrupoli – sta nell’enfatizzare un evento straordinario, sviscerandone gli aspetti mistici e iconografici, pur restando saldamente ancorato ad una spietata concretezza, quasi totalmente concentrata nel rapporto prima spigoloso e poi istintivo tra OJ ed Emerald, e che si espande con un paesaggio che altera stimoli e percezioni narrative, nonché fotografato in modo sublime da un maestro come Hoyte van Hoytema. Ma non solo, edificando una contro-narrativa (in)verosimile in cui facciamo la conoscenza di una scimmia, Gordy. È lei il senso nascosto di Nope, quella che fin dall’incipit altera i toni nonostante sia una linea parallela della storia. Da questo punto di vista, il bel film di Jordan Peele, più che una storia sugli alieni, è una storia di alieni: quelli che abbiamo attorno ma che non vediamo, quelli estranei alla nostre intenzioni, quelli con cui finiamo per fare i conti. Perché, che piaccia o no, siamo tutti legati da un filo invisibile. Invisibile e indigesto

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Qui il trailer di Nope:

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