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Ma non chiamatela fiction: con Il nome della Rosa la Rai sfida Netflix e Amazon

Un grande cast, una serie ambiziosa e una nuova sfida: ma qual è la differenza tra fiction e serie?

Rupert Everett, Michael Emerson, John Turturro e Damian Hardung ne Il nome della rosa, dal 4 marzo su Rai Uno.

ROMA – Davanti a un progetto tanto ambizioso e a un cast di tale livello, la domanda a un certo punto della conferenza stampa romana de Il nome della rosa sorge spontanea: ma qual è precisamente la differenza tra una fiction e una serie? E perché qualsiasi serie arrivi su Netflix viene salutata come l’ennesimo fenomeno di tendenza e un’operazione Rai da 25 milioni di euro rimane comunque sempre una fiction? Dubbi più che legittimi, perché Il nome della rosa – quattro puntate per sette ore di tv dirette da Giacomo Battiato, con un cast che mescola John Turturro, Rupert Everett, Damian Hardung, Fabrizio Bentivoglio, Greta Scarano e Stefano Fresi – è un progetto ambizioso che si pone al centro di una battaglia ormai senza fine e confine di piattaforme alla ricerca di prodotti originali, da Netflix a Amazon.

Un intenso ritratto di John Turturro sul set de Il nome della rosa.

A dimostrazione di questo, dopo l’anteprima su Rai Uno, a partire dal 4 marzo in prima serata, Il nome della rosa partirà per un lungo viaggio, già acquistata da canali come Stars, Orange, Sky Germania e BBC. «Stiamo parlando di una serie internazionale diversa da tutte le altre», precisa Battiato, «perché racconta la nostra storia e la nostra cultura. Spero che diventi un fiore all’occhiello per l’Italia». «E per me», gli fa eco John Turturro, «è davvero stato un privilegio essere scelto da un regista italiano. È stata una bellissima esperienza lavorare su un romanzo del genere, un pilastro della letteratura mondiale. Amo imparare qualcosa dai progetti a cui lavoro». 

Ancora Turturro con Damian Hardung.

E allora, ecco Turturro nel ruolo che fu di Sean Connery e il giovane tedesco Damian Hardung in quelli di Christian Slater per una serie che ha anche un’altra garanzia di assoluta qualità: la Palomar di un produttore come Carlo Degli Esposti, ovvero l’uomo che mise le mani su I Medici con Richard Madden e ne fece un caso internazionale. «Questa è la più grande produzione realizzata a Cinecittà negli ultimi trent’anni, per farla abbiamo coinvolto tutti i più grandi talenti italiani», spiega, «e quando mi hanno proposto il progetto per la prima volta, sono andato a Bologna per cercare il volume che avevo letto trentacinque anni fa. Sono ripartito da lì, dalle pagine di Eco».  

Everett con Michael Emerson, Turturro e Hardung in un’altra scena de Il nome della rosa.

E qui, ascoltando le parole di Tinny Andreatta, direttore Rai Fiction («Questo è l’emblema del Made in Italy capace di unire lavoro italiano e grandi star»), ritorniamo inevitabilmente al quesito di partenza, che pare una provocazione ma non lo è: qual è precisamente la differenza tra fiction e serie? Perché il primo termine sembra sempre definire un prodotto cheap destinato indistintamente a tutti e il secondo invece è un caso mediatico assolutamente da vedere e analizzare? Il problema sta sempre nel come si raccontano le cose, sta davvero tutto lì, visto che poi Il nome della rosa finirà su RaiPlay e sarà possibile quindi anche il binge watching. Quindi cominciamo noi di Hot Corn in queste righe, con un piccolo consiglio: guardate Il nome della rosa perché è una grande serie. Punto.

  • In questa featurette, Turturro parla de Il nome della rosa:

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