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Nadine Labaki, Cafarnao e perché rivedere quel bambino vittima di un altro mondo

Un viaggio straziante nell’oscurità della nostra epoca? Sì. Ecco perché Cafarnao rimane un capolavoro

Due dei piccoli protagonisti di Cafarnao.

MILANO – «Perché hai deciso di fare causa ai tuoi genitori?». «Per avermi fatto nascere». Cafarnao gioca sporco, è un pugno che colpisce nelle parti basse, un film potentissimo e di raro coinvolgimento. Rivedendelo oggi si nota ancora di più il merito della maturità registica e del talento tecnico che ha acquisito con l’esperienza dietro la macchina da presa l’autrice libanese Nadine Labaki, giunta al terzo lungometraggio dopo Caramel (2007) e E ora dove andiamo? (2011). Così, una storia che rischiava di apparire didattica e ricattatoria, riesce ad essere un’avventurosa e disperata rincorsa di un poverissimo dodicenne, Zain (Zain al-Rafeea) a ottenere il suo diritto di essere riconosciuto dalle istituzioni come cittadino libanese.

Un momento di Cafarnao.

Il film – che potete recuperare in streaming su CHILI qui – si svolge nel mezzo del degrado di uno dei quartieri più disagiati di Beirut e lo sguardo della regista si pone ad altezza bambino, senza però assumere un approccio pietoso. Il cuore pulsante di Cafarnao sono la rabbia e l’energia del protagonista, desideroso di un’altra vita, lontana dalla condizione di individuo derelitto. Il suo percorso è un calvario propositivo, un infernale viaggio tra le ingiustizie del mondo per provare a raggiungere lo status fondamentale di persona fisica e giuridica. «Malgrado Cafarnao dipinga una realtà cruda e spiazzante, resto profondamente idealista: credo nel potere del cinema. Sono convinta che i film possano se non cambiare le cose, quanto meno avviare un dibattito o invitare alla riflessione», spiega la Labaki.

Nadine Labaki e Zain al-Rafeea sul set del film.

E allora qui la denuncia è politica ma anche esistenziale: chi viene al mondo senza tutele legali è privo di dignità perché è come se non esistesse. Zain non ha i documenti, sul piano legale non esiste. Nel corso delle ricerche, la regista ho avuto a che fare con una gran quantità di bambini nati senza documenti perché i genitori non hanno i mezzi per registrarne la nascita. Molti vanno incontro alla morte, per negligenza o malnutrizione o perché non hanno accesso a un ospedale. Muoiono senza che nessuno se ne accorga perché, di fatto, non sono esistiti. E, secondo la regista, tutti loro dichiarano di non esser felici di essere nati. Potrebbe sembrare favolistica l’idea che un bambino intenti una causa legale contro i genitori, ma la querela di Zain è da interpretarsi come un gesto simbolico a nome di tutti i bambini che, non avendo scelto di nascere, dovrebbero rivendicare dai loro genitori un minino di diritti. Quanto meno quello di essere amati.

La Labaki sul set prima di una scena.

A questo proposito, l’odissea del piccolo protagonista risulta credibile anche da un punto di vista processuale, così come il coinvolgimento di reti televisive e mezzi di informazione che gli permettono di arrivare in tribunale. Con Cafarnao, Nadine Labaki ribadisce l’universalità del cinema e l’essenzialità dell’accesso a diritti elementari come istruzione, salute e amore da parte di tutti i cittadini del mondo. Quella di Zain non è soltanto una storia libanese: la cupezza degli ambienti e dei personaggi è sintomatica della nostra epoca e della vita degli emarginati in tutte le grandi città. Straziante.

  • IL FILM | Potete vedere Cafarnao su CHILI qui
  • «It has changed me»: l’intervista di Nadine Labaki a Hot Corn
  • IL TRAILER | Qui il trailer di Cafarnao:

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