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Sundown di Michel Franco? Un grande Tim Roth per un film da non perdere

Acapulco, Roth, Charlotte Gainsbourg e una doppia vita. Ecco perché è una visione da fare

Sundown
Tim Roth in un dettaglio del poster di Sundown.

ROMA – Neil Bennett (Tim Roth) è in vacanza ad Acapulco assieme alla sorella Alice (Charlotte Gainsbourg) e ai figli di lei: Colin (Samuel Bottomley) e Alexa (Albertine Kotting McMillan). Neil e Alice sono il cuore della famiglia Bennett. Ereditieri di una multinazionale dell’industria della carne, i Bennett si sono saputi conquistare un tenore di vita altissimo che vive di lusso, pacifico ozio, eccessi e spensieratezza. Quando però un’emergenza familiare li richiama nel Regno Unito, costringendoli ad interrompere la vacanza sulla costa messicana, il delicato equilibrio di famiglia viene sconvolto una volta per tutte. Presentato a Venezia, Sundown di Michel Franco arriva ora in sala ed è avvolto dalla sensazione di non lasciarlo cadere nel dimenticatoio distributivo.

Tim Roth e Charlotte Gainsbourg in una scena di Sundown
Tim Roth e Charlotte Gainsbourg in una scena di Sundown

A detta di Franco infatti non è un caso se il contesto scenico di Sundown sia proprio la soleggiata e paradisiaca Acapulco: «È scioccante vedere come la città in cui ho trascorso le vacanze più belle della mia infanzia si sia trasformata in un epicentro di violenza». Dopo il feroce New Order (Nuevo Orden) vincitore del Leone d’argento a Venezia due anni fa, il messicano Franco continua la sua osservazione di società sotto pressione e di individui ontologicamente alienati tornando indietro nella comfort-zone dell’infanzia per sovvertirne il ricordo e l’inerzia biologica: «Sundown nasce dalla necessità di esplorare un luogo che sembra essere più distante ed estraneo. L’esplorazione di tutte le prospettive presenti in Acapulco è anche uno studio del carattere e delle dinamiche familiari».

Tim Roth in una scena di Sundown
Tim Roth in una scena di Sundown

Al centro di Sundown un grandioso Tim Roth – che attore magnifico – che torna a collaborare con Franco dopo 600 Miles e Chronic del 2015 e che nel prestare volto e corpo per l’aura caratteriale di Neil Bennett sembrerebbe essersi liberamente ispirato a quella del magnate Rupert Murdoch: «Un uomo errante, indifferente, e talvolta del tutto ignaro che ha un impatto sulle persone intorno a lui». Agente scenico a cui Franco cuce addosso un’elaborazione del lutto edificata su di una fuga alcolica e dissoluta da sé stesso, dalle proprie responsabilità, e dal proprio mondo, dall’inerzia narrativa in parte rievocativa di Professione: Reporter di Michelangelo Antonioni.

Ancora Roth in un altro momento del film.

Proprio come il Locke/Jack Nicholson con Jane Doe/Maria Schneider infatti il Bennett di Roth trova in Berenice (Lazua Larios, bravissima) una barca su cui salpare verso una nuovo inizio così da lasciarsi lentamente scivolar via un problematico (e silenzioso) vissuto. Franco però non premia affatto l’agire spensierato-sconsiderato del suo (anti)eroe protagonista, finendo con il presentargli il conto di una solitudine soltanto costeggiata e involontariamente desiderata da Bennett nel suo idillio paradisiaco che – tra secondo e terzo atto – va a concretizzarsi sino alla depersonalizzazione dell’individuo in ogni aspetto di una vita sempre più esistenza. Senza alcuna identità, senza appartenenza, senza famiglia, senza amore. Un film su cui riflettere…

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