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Alex Infascelli: «Il mio viaggio con Francesco Totti, tra Roma e la vita»

Il calcio, la vita, la musica: il regista racconta a Hot Corn com’è riuscito a raccontare un mito

Alex Infascelli e Francesco Totti sul set di Mi Chiamo Francesco Totti.

ROMA – «Nel momento in cui accetti un’avventura del genere non ti poni l’interrogativo su quanto sia difficile. Cominci e basta». Alex Infascelli inizia così a raccontare il suo viaggio nell’universo Totti, un mondo a parte che ha provato a condensare nelle due ore di Mi Chiamo Francesco Totti, documentario prezioso – disponibile in digitale su CHILI – in cui il regista prova a raccontare una vita intera partendo dall’ultima notte da capitano, quella del 27 maggio 2017. «Dopo aver affrontato Kubrick, diciamo che ero pronto per Totti», ride Infascelli facendo riferimento al suo S is for Stanley, documentario diretto nel 2015. «Fin dal primo momento però ho pensato che non dovevo girare un documentario su Totti, ma con Totti. È lui ad accompagnare lo spettatore durante la visione».

Infascelli e Totti durante le riprese.

IO E FRANCESCO – «Ci eravamo incrociati solo una volta a un recital di Giorgio Panariello, eravamo seduti a fianco. Non posso dire quindi di averlo conosciuto, ho iniziato a farlo lavorando al film, parlando con lui per ore e ore, dialoghi registrati, parole e ricordi. Ho un’infinita di materiale audio, oltre quaranta ore, al punto che potrei fare una serie di podcast (ride, nda). Chi è Francesco? Un grande osservatore di esseri umani: lui ti scruta, ti analizza, contempla la tua umanità, poi magari ti fa la battuta, ma solo per farti capire che ci tiene. Non è mai cinico».

Ciak all’Olimpico.

IL FILM – «Il mio obbiettivo era dare allo spettatore l’impressione che Totti fosse seduto accanto a lui per tutto il tempo. Che commentasse con lui quello che vedeva. Per questo ogni tanto si sente durante il film: «Torna n’attimo indietro». Lui è seduto accanto a te e mentre guardate le immagini,  ecco i commenti, come fosse una dimensione familiare, come un video che si guarda in salotto. Così, per riuscire ad avere più materiale possibile ho chiesto a tutti i famigliari e gli amici di Francesco di aprire cassetti e cantine e cercare video».

IL PALLONE – «Un giorno una cugina mi ha chiamato perché aveva trovato un vecchio Super 8 girato nell’estate del 1977 a Porto San Giorgio. Una folgorazione: Francesco con la prima palla a nemmeno un anno. Diciamo che è stata una rivelazione, come vedere le scimmie alle prese con il monolite nell’incipit di 2001: Odissea nello Spazio (ride, nda). Una rivelazione. Quelle immagini dovevano ovviamente essere l’inizio di Mi Chiamo Francesco Totti, non c’era dubbio. Era già tutto contenuto in quel frammento».

Mi Chiamo Francesco Totti
Totti e il primo pallone: era il 1977.

LA MISSIONE – «Non volevo fare un film per i tifosi della Roma o solo per gli amanti del calcio e gli sportivi, volevo girare un film che piacesse a Totti, qualcosa che lui un giorno si potesse guardare con i nipotini per dire cos’era stato e fargli capire il suo percorso. Questo era il mio obbiettivo. Come quando uno ti regala una bella foto e tu la appendi al muro e sei contento. Ecco, io volevo emozionarmi e emozionare. Non ho fatto nulla di finto o girato cose senza un preciso motivo».

Totti davanti alla sua scuola, la Manzoni di San Giovanni, a Roma.

LA PRIMA VOLTA – «Durante la lavorazione ho cercato di far vedere a Francesco Totti meno cose possibili, volevo tenerlo all’oscuro in modo che vedesse il film una volta concluso. Così, eccoci lo scorso giugno, una volta finito il lockdown, nella sala cinematografica che ha a casa sua: io, Ilary, i bambini e i produttori. Inizia il film e mi nascondo nel buio, lo sento ridere, commentare di nuovo, poi ridere ancora. Rimango in apnea per due ore, poi finisce il film. Silenzio. A un certo punto Francesco si gira, mi guarda e dice: «Ahó, hai fatto piagne pure Ilary che manco all’addio aveva pianto». Lì ho capito che ce l’avevo fatta…».

LA MUSICA – «Musicalmente parlando da subito avevo il desiderio di dare al film un sapore musicale fine anni Ottanta, perché di fatto è quel periodo nella vita di Totti, ma anche nella mia, che succedono cose che ti segnano per tutta la vita e condizionano quello che sarai. Volevo evocare quel periodo, quella Roma, la Roma anni Ottanta che poi fu l’ultima in cui Francesco ha potuto girare liberamente, dai 93 in poi gli è stato impossibile. Per questo alla fine ho messo Gioca Jouer, una parabola di vita che racconta la banale ripetizione della vita, una canzone fatta di quadri temporali che si ripetono».

«Ahó, hai fatto piagne pure Ilary…»

LA NOSTALGIA – «Sì, la nostalgia per quel calcio c’è, assolutamente: io non sono mai stato un accanito tifoso, ma mi ha sempre affascinato l’aspetto umano del calcio, è sempre stata quella la chiave con cui riuscivo a guardare un’intera partita. Guardare l’uomo e le sue contraddizioni nascoste, guardare i giocatori dare tutto quando dare tutto era già abbastanza. Non conta sempre vincere, non conta essere sempre i primi: si vince sempre quando si gioca. Il risultato è dare il massimo, conta solo quello».

  • Volete vedere Mi chiamo Francesco Totti? Lo trovate su CHILI
  • Qui trovate il nostro Hot Corn Weekly dedicato al film

Qui sotto il trailer di Mi Chiamo Francesco Totti:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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