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Bone Tomahawk | Kurt Russell, una banda di cannibali e quello strano western splatter

Un villaggio, uno sceriffo e i cannibali: ma perché recuperare il western di Zahler? Su RaiPlay

Kurt Russell in una scena di Bone Tomahawk.

MILANO – Nel 2015, quando C. Craig Zahler esordiva da regista al Fantastic Fest di Austin, il western non viveva un buon periodo – eccezion fatta per Il grinta, remake dei Coen – ma stava per tornare alla ribalta sotto nuove sembianze, grazie a Django Unchained e alla pubblicità che Quentin Tarantino aveva fatto al genere per anni esaltandone le doti cinematografiche e dotandolo, quindi, di un nuovo appeal per le masse. Il punto di forza del suo Bone Tomahawk – film che vi proponiamo nella nuova puntata della nostra rubrica West Corn – è l’evidente (e approfondita) conoscenza del genere da parte del regista e sceneggiatore, che attraverso una direzione sagace e attenta, riesce a utilizzare tutti i cliché narrativi e le atmosfere del western di John Ford (ma non solo) adattandoli e aggiornandoli nella costruzione dei dialoghi, facendoli confluire in qualcosa di nuovo.

Kurt Russel è lo sceriffo Franklin Hurt
Kurt Russel è lo sceriffo Franklin Hurt

Siamo a Bright Hope, un villaggio che è anche una terra di confine, un avamposto della civiltà (nel senso western del termine) perfettamente coesa al suo interno, ma sempre all’erta per le minacce che vengono dal deserto, da quelle terre ancora non conquistate e, dunque, rimaste allo stato selvaggio. Sì, senza ordine, dove la natura è matrigna e predoni e predatori di ogni genere sono sempre in agguato per rovinare i piani di chi si avventura in quelle distese. A difendere la posizione c’è lo sceriffo Franklin Hurt (un ottimo Kurt Russell, quello stesso anno utilizzato in chiave western anche in The Hateful Eight), attento a presidiare un villaggio in quel periodo deserto, perché il tempo è buono per il pascolo e tutti gli uomini (o quasi) sono in viaggio e chissà quando -e in quanti- torneranno. E naturalmente qualcosa succede: in una notte scompaiono cinque cavalli, una donna, un detenuto dello sceriffo e il suo giovane sostituto-aiutante.

Bone Tomahawk

Come nel più classico dei casi – e come segnala una strana freccia trovata sul luogo del misfatto- i colpevoli sono dei nativi. Ma gli indiani non sono tutti uguali. Anzi, se in passato l’archetipo del pellerossa non faceva tante distinzioni tra le varie tribù, Bone Tomahawk – che trovate in streaming su Prime Video e RaiPlay – ha recepito la lezione del revisionismo western e sa distinguere tra indiani civilizzati, indiani che si fanno gli affari loro e indiani che sono loro stessi vittime inermi delle conquiste a suon di polvere da sparo. Ma nel caso del film non si tratta di semplici nativi, bensì di una piccola tribù di organizzatissimi cannibali trogloditi «che stuprano e mangiano le proprie madri». La negazione assoluta quindi non solo della nuova civiltà americana, ma anche di quei minimi aspetti di umanità che ormai vengono riconosciuti anche ai pellerossa.

Una scena di Bone Tomahawk
Uno dei nativi americani che minacciano il villaggio di Bright Hope

Di fronte a questo affronto all’umanità, lo sceriffo non può tirarsi indietro. E così alla prima parte del film – tutta interni, medici del villaggio e zuppe bollenti – si passa alla seconda frazione, quella del viaggio. Come se fosse un percorso a ritroso nel genere, dal consolidamento della civiltà dell’ultimo Hawks (vedi Un dollaro d’onore) alla lotta per la sopravvivenza e l’allargamento dei confini e dello spazio vitale di John Ford: dalla sociologia del governo razionale, agli istinti dello stomaco, delle ore a cavallo sotto il sole, dei falò per riposare con un occhio mezzo aperto, delle gambe steccate alla buona e del grilletto che deve farsi facile perché, in un terreno comune di caccia del tutti-contro-tutti non c’è spazio per le sottigliezze della morale, ma solo per prontezza e determinazione.

Un'immagine di Bone Tomahawk
Un’immagine del film

E così fino alla terza porzione di film, con le sue sfumature horror fatte di personaggi mostruosi, tal volta ai limiti dello splatter. In questo wild & weird west vinceranno i buoni, ma per paradosso sopravvivranno solo i più deboli, coloro che non sono adatti a quell’estremo stato di natura e che soccomberebbero al di fuori della civiltà di cui la legge si fa garante proprio a loro servizio. Non è più tempo di conquistare e porre nuove radici, non era quello l’obiettivo: ora è tempo di tornare a casa, stanchi come dopo il peggior incubo che abbiate mai fatto, con il gruppo di partenza mezzo vuoto e mezzo pieno, per continuare a vivere la propria vita al riparo dai profondi abissi ignoti.

  • John Wayne e la decadenza del western in Un dollaro d’onore
  • VIDEO | Qui il trailer di Bone Tomahawk:

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