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Judas and the Black Messiah, il cinema civile e la necessità della rivoluzione

Tradimenti e impegno politico: Shaka King racconta la Pantera Nera Fred Hampton e punta agli Oscar

Judas and the Black Messiah

ROMA – Nel 1968 sia Malcolm X che Martin Luther King erano già stati uccisi. I leader dei due principali movimenti per i diritti civili degli afroamericani, molto distanti nel pensiero e nelle azioni eppure rivolti a quella stessa comunità che continuava a subire continue discriminazioni e vessazioni. In quello stesso anno Fred Hampton, attivista e socialista rivoluzionario ventenne, veniva eletto a Chicago Presidente della sezione dell’Illinois del Black Panther Party e Vicepresidente del BPP nazionale prima di essere ucciso, l’anno seguente, in un blitz della polizia che aveva più il retrogusto dell’agguato. Una storia la sua raccontata da Shaka King in Judas and the Black Messiah (lo trovate su CHILI), film protagonista della 93ª edizione degli Oscar con ben cinque nomination, tra cui quella a Miglior Film.

Judas and the Black Messiah
Una scena di Judas and the Black Messiah

Prodotto, tra gli altri dal regista di Black Panther, Ryan Coogler, il film vede Daniel Kaluuya prestare il volto al Black Messiah del titolo, mentre quel Judas si riferisce, invece, a William O’Neal (Lakeith Stanfield), un giovane ladro che, dopo un furto finito male, per evitare la galera diventa informatore FBI sotto la guida dall’Agente Speciale Roy Mitchell (Jesse Plemons). Il suo obiettivo? Infiltrarsi nel partito delle Pantere Nere capeggiato da Hampton con l’incarico di conquistare la sua fiducia e passare informazioni al bureau capeggiato da J. Edgar Hoover che vedeva nell’organizzazione delle Black Panther una minaccia ancor più grande dei russi.

Daniel Kaluuya è Fred Hampton

Judas and the Black Messiah s’inserisce così nel filone del cinema civile raccontando – anche grazie all’uso di materiale d’archivio – le idee che muovevano le Pantere Nere e quel giovane leader rivoluzionario che parlava di “potere al popolo” in un ritratto asciutto e misurato che non scade nella santificazione. Ma il film di King strizza anche l’occhio al cinema di genere grazie alla sue atmosfere da thriller poliziesco enfatizzate dalla fotografia di Sean Bobbitt e nelle musiche di Mark Isham e Craig Harris. Una doppia natura come quella che, a ben guardare, lacera il Giuda rappresentato da O’Neal.

Lakeith Stanfield e Jesse Plemons in una scena di Judas and the Black Messiah

Infiltrandosi e diventando uno degli uomini di fiducia di Hampton, O’Neal imparerà a riconoscerne la grandezza senza però mai smettere di passare informazioni all’FBI. Una duplicità sfociata in un senso di colpa che rappresenta il Leitmotiv di Judas and the Black Messiah. Un film che si apre con la ricostruzione del documentario Eyes on the Prize II: American at the Racial Crossroads 1965-1985 a cui O’Neal rilascerà la sua unica intervista e che finisce con un estratto reale della trasmissione in cui l’uomo rivendica le sue azioni. Lo stesso giorno della messa in onda, il 15 gennaio 1990, si suicidò schiacciato dal peso del tradimento di quel “poeta” che sognava la rivoluzione.

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Qui potete ascoltare un brano della colonna sonora:

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