MILANO – Presentato in concorso alla Mostra di Venezia 78, riscuotendo favori di critica e pubblico, poi ha sbaragliato la concorrenza nelle nomination ai premi francesi Lumières. Di che film parliamo? Di Illusioni Perdute di Xavier Giannoli (lo trovate su CHILI), tratto dall’omonima trilogia di Honoré de Balzac pubblicata tra il 1837 e il 1843. Il film narra la vicenda di Lucien de Rubempré, giovane poeta spiantato di provincia che, in cerca di fortuna, si getta in pasto a Parigi, dea pagana pronta ad accogliere talento e merito. Lasciata alle spalle la parentesi della Rivoluzione, Lucien muove i suoi passi in una Parigi in piena epoca di Restaurazione, in cui monarchici e liberali lottano per affermare i propri valori morali. Travolto da una gigantesca commedia umana in cui mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà recitano tutti la loro parte, Lucien scoprirà che il denaro sta diventando la nuova aristocrazia, ma stavolta nessuno è interessato a tagliargli la testa.
È con queste affascinanti premesse che Illusioni perdute racconta con arguzia mai didascalica l’ascesa del capitalismo moderno, smascherando inoltre annose pratiche malsane dell’editoria e del giornalismo. Per i “figli della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità” tutto è negoziabile: i fischi e gli applausi a teatro si vendono al migliore offerente, così come gli articoli e le recensioni. Un libro non si pubblica se chi lo ha scritto non ha un volto noto o perlomeno un nemico famoso: l’artefatta polemica si crea a tavolino per attrarre attenzione e battere cassa. Un giornale prende per vero tutto ciò che è probabile, perché l’unica verità sono i dati di vendita. I giornalisti, veri e propri trafficanti di parole, creano e influenzano le opinioni dei lettori.
Non è dunque difficile per lo spettatore contemporaneo comprendere che in realtà Balzac e Giannoli si stiano direttamente interfacciando con la nostra sensibilità di pedine immerse in un sistema mediatico corrotto, le cui regole non sono concettualmente diverse da quelle del diciannovesimo secolo. Sfruttando gli immancabili e onnipresenti inglesismi del nostro tempo parleremmo di dissing, di fake news e di social media, ma si tratterebbe soltanto dell’ennesima illusione che una nuova nomenclatura possa sfuggire a corsi e ricorsi storici. Balzac nell’Ottocento creò un universo e oggi Giannoli lo onora, facendosi egli stesso essenza generatrice entro i confini definiti dallo scrittore. In questo kolossal di due ore e mezza à la français, il regista fa incontrare in maniera simbolica diverse generazioni del cinema d’oltralpe.
Le illusioni nutrite e poi perdute da Lucien vengono affidate alle poco navigate, ma possenti spalle di Benjamin Voisin, rivelato al grande pubblico da Estate ‘85 di François Ozon e lanciato nell’Olimpo delle promesse francesi. Benjamin come Lucien è un giovane artista in un’industria dalle regole spietate, che dovrà lottare per non scendere a compromessi tanto quanto il personaggio che interpreta. Giannoli crea inoltre, in occasione del suo adattamento, il nuovo personaggio di Nathan Anastasio, che farà da narratore della vicenda. Il ruolo è affidato non casualmente alle cure di Xavier Dolan, uno degli autori cinematografici più emblematici della nostra contemporaneità, già enfant-prodige del cinema mondiale. A personificare il cinismo dell’editoria sono invece le figure chiave di Étienne Lousteau e Dauriat. Étienne, di poco più grande di Lucien ma con già tanta esperienza e compromessi alle spalle, prenderà il protagonista sotto la sua ala, insegnandogli tutti i trucchi del mestiere; il ruolo è toccato simbolicamente a Vincent Lacoste, giovane ma già super richiesto attore della sua generazione.
Il super navigato Dauriat, analfabeta editore senza scrupoli poco incline alle lettere ma esperto nell’ingrossare le tasche degli azionisti, è invece Gerard Depardieu che (meglio di chiunque altro) sa abilmente gigioneggiare nelle vesti del vecchio lupo del mestiere. Già la scelta dei ruoli la dice lunga su come nulla sia affidato al caso nell’opera di Giannoli che, nella sua composizione, non è in fondo meno letteraria del romanzo di Balzac. Lo si percepisce anche nel chiaro intento di rendere omaggio allo splendore parigino, al suo spirito, ai suoi tessuti, ai suoi salotti e ai suoi inestricabili intrighi. L’attenzione alle scenografie e ai costumi non è peraltro da meno rispetto alle scelte musicali che spaziano da Schubert a Bach passando per Rossini e Vivaldi, persino con una rilettura più sensibile al nostro tempo delle Quattro Stagioni. Illusioni perdute è dunque un grande film perché non perde mai in purezza, raccontando con cinismo un mondo che conosciamo molto bene, ma da cui non riusciamo a sfuggire per la sua sensualità e il morboso fascino della sua insania.
- Volete vedere Illusioni Perdute? Lo trovate su CHILI
La video intervista a Benjamin Voisin è a cura di Manuela Santacatterina:
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