ROMA – Nel 1935, il maestro Antoni Benaiges accetta l’incarico come insegnante in un piccolo villaggio nella provincia di Burgos, in Spagna. Qui il giovane maestro instaura un intenso legame con i suoi studenti, bambini tra i sei e i dodici anni, ai quali fa una promessa: portarli a vedere il mare per la prima volta nella loro vita. Ma i metodi di insegnamento innovativi del maestro non incontrano il consenso del governo di allora, che inizia una dura opposizione nei confronti dell’insegnante e dei suoi ideali. Settantacinque anni dopo, Ariadna, la nipote di uno di quegli alunni, ricostruisce la storia vera dietro quella promessa. Il maestro che promise il mare, un film di Patricia Font con Enric Auquer e Laia Costa, dal 19 settembre al cinema con Officine Ubu.
Una storia di coraggio, dedizione e resistenza che rischiava di rimanere avvolta nelle ombre del regime franchista. Ma soprattutto vera la storia al centro del racconto de Il maestro che promise il mare. Quella di Antoni Benaiges, nato da una famiglia rurale ma con l’insegnamento che gli scorreva nelle vene. La madre di Benaiges, infatti, era la nipote di Agustí Sardà Llaberia, illustre educatore e politico repubblicano, e cugino di primo grado dell’educatore Mercè Sardà Uribarri. Quindi Benaiges che scelse di entrare in contatto con il mondo dell’insegnamento avvalendosi del cosiddetto Metodo Freinet. Un approccio educativo ideato da Célestin Freinet alla fine dell’Ottocento che proponeva una nuova concezione del bambino. Non più soggetto passivo da indottrinare, ma attivo e da stimolare attraverso il contatto con la realtà esterna.
A cambiare è anche il concetto di scuola, intesa come un cantiere aperto dove tutti collaborano e condividono progetti e risultati ottenuti. La tecnica del Metodo Freinet prevedeva la stesura di temi a tema libero sulla base delle inclinazioni dei singoli allievi. Dopo la lettura collettiva di tutti i testi, il maestro e gli allievi votavano il migliore, lo correggevano insieme, e poi lo stampavano. Ognuno dei testi andava poi a formare una raccolta intitolata Il libro della vita. Un quaderno impaginato e decorato dagli allievi stessi per poi essere inviato ad altre scuole. Un’attività di libero pensiero e socializzazione che nel caso di Benaiges – che poi è la ragione del perché oggi parliamo de Il maestro che promise il mare – il regime franchista vide come esempio di propaganda comunista.
Se però la storia di Benaiges è passata alla storia spingendo la Font a immortalarla a mezzo filmico è per via della promessa alla base del titolo. Nel gennaio 1936 Benaiges e i suoi allievi realizzarono un quaderno dal titolo El Mar. Visión de unos niños que no lo han visto nunca (Il Mare. Visione di bambini che non l’hanno mai visto) dove ognuno di loro, lavorando di desiderio e fantasia, descrisse il mare in poche parole. E non lo conoscevano affatto il mare questi bambini, non sapevano nemmeno come fosse fatto il mare, o forse lo sapevano già e albergava nel loro cuore. Benaiges promise loro che gliel’avrebbe mostrato l’estate successiva, a Mont-Roig del Camp, nel suo paese d’origine, ma non arrivò mai quel giorno perché i franchisti decisero per loro.
Non è solo il mare, però, ciò che promise il maestro Benaiges quel giorno ai suoi alunni. Promise loro una vita diversa, nuova, lontana dall’ignoranza e dall’ipocrisia del piccolo centro. Promise di allargare i loro orizzonti, di avere pensiero libero e cuore puro, o più semplicemente di provare a vedere la vita di tutti i giorni sotto una nuova luce. Un po’ come fece il John Keating de L’attimo fuggente con gli alunni del collegio di Welton. Ecco, è in quel terreno narrativo che si muove Il maestro che promise il mare, quello in cui gli insegnanti cercano di far entrare i propri studenti in sintonia con sogni, desideri e paure.
In esso cresce il racconto della Font tra passato e presente, storia e memoria, alternati da transizioni poetiche di montaggio che danno forma e colore agli archi narrativi di Antonio e Ariadna e del sottile filo conduttore che li unisce. Archi, tuttavia, di differente intensità scenica oltre che recitativa. Perché il presente narrativo di ricerca della Ariadna della Costa, per quanto rilevante nel suo essere testimonianza diretta dell’importanza della storia dei quaderni di Benaiges, funge da mero pretesto per raccontare il passato di Antonio di uno straordinario Auquer nei suoi giorni di speranza, orrore e sangue. Il maestro che promise il mare, un film commuovente, doloroso ed emozionante che esattamente come un buon libro vorresti non finisse mai.
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