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La musica senza confini di Goran Bregović, tra Emir Kusturica e il suono dei Balcani

Sarajevo, i temi zigani, l’elettronica, il rock: la poesia musicale di un demiurgo della bellezza

Goran Bregović (
Goran Bregović

MILANO – Goran Bregović è disordine ed euforia, una festa di tristezza e gioia, è come l’incontro tra un matrimonio annaffiato con la “rakija” e un funerale celebrato tra spari di Kalashnikov. È come Sarajevo, città in cui è nato il 22 marzo 1950, in bilico tra un sorriso isterico e la tristezza dolce dei canti popolari. Madre serba e padre croato, cresciuto sulla linea di frontiera di un paese martoriato per decenni da guerra e bombe, non ha potuto frequentare la scuola di Belle Arti perché «piena di omosessuali». Dopo il divorzio dei genitori resta a vivere con la madre nella zona di Sarajevo, luogo di commistione di tre diverse culture – musulmana, cattolica e cristiana ortodossa – mélange che è origine della contaminazione musicale e culturale distintiva della musica di Goran. Una musica senza confini, dove i temi zigani e i suoni balcanici si fondono all’elettronica e al rock.

Zingaro di una giostra che esorcizza la guerra con immaginazione e sogno, raggiunge il successo come componente del leggendario gruppo rock Bijelo Dugme, la band più famosa della Jugoslavia degli anni Settanta e Ottanta. È il 1989 quando il gruppo si scioglie e prende vita la celebre collaborazione con Emir Kusturica. Goran ed Emir, la fuga in America dalla guerra, un binomio esplosivo alimentato dall’energia della cultura zigana. Le sue composizioni di musiche per i film di Kusturica hanno dato vita e voce a capolavori come Il tempo dei gitani (lo trovate su CHILI) che racconta la vicenda di Penhan, un giovane zingaro che perde innocenza, illusioni e vita rubando e trafficando in bambini, nani e infermi. Il valzer del pesce freccia (lo trovate su CHILI), la storia di Axel (Johnny Depp), giovane chiamato in Arizona dallo zio Leo (Jerry Lewis) che vuole insegnargli la fede nei pilastri del modo americano di vivere.

Axel, invece, s’innamora di una strana donna matura (Faye Dunaway) con cui condivide il sogno di volare su un velivolo senza motore. Poi ancora: Underground, vincitore della Palma d’oro a Cannes e film che ha consacrato la musica di Goran Bregović nel mondo. Il bombardamento dello zoo di Belgrado apre il sipario sulla grande storia di amicizia tra il partigiano Marko (Miki Manojlović) e l’amico Blacky (Lazar Ristovski), due truffatori che riescono a convincere il loro gruppo di amici a rifugiarsi in un sotterraneo e a fabbricare armi per il mercato nero nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Infine, Gatto nero gatto bianco (su CHILI), capolavoro grottesco ambientato in un insediamento di zingari lungo le rive del Danubio che racconta gli intrecci di vita di tre generazioni di personaggi tra musiche sfrenate e caos estremo.

Sono seguite collaborazioni anche con Patrice Chereau che nel 1994, sempre a Cannes, ha vinto due premi con il suo La regina Margot e poi con Roberto Faenza nel film I giorni dell’abbandono (su CHILI), tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante. Qui Bregović offre il volto, oltre che la sua musica, interpretando il musicista vicino di casa di Olga (Margherita Buy), una donna in crisi dopo che il marito l’ha lasciata. Questo film gli è valso due nomination ai David di Donatello del 2006 per la Migliore colonna sonora e per la Migliore canzone originale. Oggi sono 72 anni che Goran Bregović è entrato nella storia di questo nostro strano mondo, dove è possibile essere buoni vicini e il giorno dopo spararci addosso, dove il ritornello Bum, bum, bum, bum, bum di Kalasnjikov resta, purtroppo, un’onomatopea ancora tristemente attuale. L’unica redenzione è la poesia frastornata di questo demiurgo della bellezza, spettinato e sudato mentre suona il dobro in questo caos gitano che è la vita.

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