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Gianluca Matarrese: «The Last Chapter, la memoria come traccia e lo sguardo sul mondo»

Film di chiusura della SIC 36, il regista racconta il suo documentario tra incontri, ricordi e amore

The Last Chapter
Una scena di The Last Chapter, film di chiusura della SIC 36

VENEZIA – Bernard è appena andato in pensione. Ha 63 anni, vive solo con le sue due gatte e decide di traslocare in una nuova casa, quella in cui vivrà l’ultimo capitolo del romanzo della sua vita. Preparando gli scatoloni, inizia a fare una selezione: cosa lascio qui, cosa porto? Bernard è il master di Gianluca Matarrese, regista di The Last Chapter, film di chiusura della 36. Settimana Internazionale della Critica, e lui è il suo slave. Il suo ultimo amante che lo aiuta a mettere a posto la frusta in uno scatolone, tra le briciole della sua memoria, i ricordi degli amori che l’AIDS gli ha strappato dalle braccia, le tracce di una famiglia adottiva che l’ha respinto, dell’educazione rigida che l’ha forgiato, di una madre e di un padre che non ha mai conosciuto.

Qual è stato l’elemento che ti ha fatto decidere di raccontare la storia di Bernard?

Ho incontrato Bernard in un momento della mia vita in cui ero immerso in un’intima ricerca legata al desiderio, all’esplorazione delle mie pulsioni e di me stesso attraverso il corpo. Appena ho conosciuto Bernard, ho da subito provato il desiderio di voler registrare la sua testimonianza. Poco alla volta ho individuato i temi che mi hanno motivato ad approfondire questa conoscenza e a raccontare la sua storia. Forse ho continuato a frequentarlo, non solo per il sesso, ma per scoprire di più su di lui, su di me, su tante cose che non avrei mai immaginato. Alla fine ho capito che il sesso non era il soggetto del mio racconto, della mia ricerca. Il sesso era un veicolo carico di senso, la metafora dello stato interiore del mio testimone principale. La fotografia di un’epoca precisa che Bernard incarna con la sua storia.

The Last Chapter
Bernard, il protagonista di The Last Chapter

Che tipo di storia è The Last Chapter?

Se tutte le storie meritano di essere raccontate per quello che sono, allora questa è la storia di un incontro: di come la mia relazione con Bernard si sia trasformata nel tempo, di come quest’uomo sia entrato nella mia vita e di come il sesso sia passato sullo sfondo trasformandosi in un affetto e una complicità fatti di piccoli riti quotidiani che hanno in qualche modo sostituito il rito sado-maso. Soprattutto è la storia di un uomo fuori dall’ordinario, con un vissuto di sofferenza e dolore che pochi avrebbero sopportato, ma allo stesso tempo un uomo animato in fondo da un sentimento universale in cui chiunque può riconoscersi: la volontà di lasciare un segno, una traccia e dimostrare così, innanzitutto a sé stesso, che la sua vita non è passata invano.

Quando hai iniziato a filmarlo?

Quando il nostro rapporto è evoluto, e non eravamo solo più due amanti che s’incontravano di notte per i loro giochi erotici, Bernard ha cominciato a sviluppare sentimenti intensi nei miei confronti e a raccontarmi la sua vita, i suoi progetti di cambiamento. Gradualmente stavo incarnando il suo testamento. Per me è stato naturale sentire il bisogno e la responsabilità di raccogliere la sua parola, di registrarla per trasmetterla. Abbiamo cominciato uno scambio epistolare molto assiduo. A Bernard piace scrivere messaggi, lettere, poesie. Il giorno in cui ho deciso di cominciare a filmarlo, è stato quando mi ha inviato un messaggio chiedendomi se volessi conservare le foto della sua vita, perché facendo pulizia tra le sue cose, in preparazione del trasloco, non sapeva se bruciarle o tenerle. Ed è stato in questo momento che ho deciso di filmare la sua vita per conservare la sua memoria, per raccontare la sua storia.

Un’immagine di The Last Chapter

Come ha reagito alla tua proposta?

Bernard ha subito colto la proposta di raccontarsi davanti al mio obiettivo con grande entusiasmo. Rispondendomi con una frase che ho inserito nel film “Ciò che preferisco è trasmetterti delle cose (parole, riflessioni, oggetti). Solo per te”. Il film per lui è un’avventura nuova, un’attività nella sua nuova vita da neo-pensionato. Senza sapere o interessarsi di quale sarebbe stato il risultato, Bernard si è fidato di me, e si è fatto guidare dal solo amore che prova per me. Mi ha sempre detto e continua a ripetermi “A me quello che interessa è vedere il tuo sguardo su di me”.

Quanto tempo hai impiegato a girare il documentario?

Io e Bernard ci siamo conosciuti nel 2015, ho cominciato a seguirlo con la mia macchina da presa nel febbraio del 2018, quando ha cominciato a prepararsi per il trasloco. Il processo di fabbricazione del film è stato lungo. In generale sono abituato a filmare molte ore. In questo caso ne ho girate di meno, forse 150, ma articolate e sviluppate nel corso degli anni, fino all’inizio del 2021 a seconda delle sequenze realmente accadute o progettate. Seguendo da vicino le sue giornate, avendo conoscenza delle sue attività, sono stato in grado di anticipare le sequenze, di immaginare il racconto in maniera strutturata. Nonostante la forte impressione di reale, il film si basa su una solida struttura narrativa, una sceneggiatura scritta in fase antecedente e durante le riprese, assieme a Nico Morabito. Dal mutare progressivo della natura dei nostri incontri, che partono da exploit sessuali e diventano altro, fino a l’evoluzione della relazione, il suo cominciare e il suo finire; il mio ruolo, il mio personaggio; gli equilibri nella relazione e i temi da fare emergere. Io e Nico amiamo la narrazione e il cinema del reale, documentario e finzione, la scrittura.

The Last Chapter
Una scena di The Last Chapter

La fase di montaggio è stata difficile?

La scrittura è continuata anche in fase di montaggio che, allo stesso modo delle riprese, è stato progressivo. Sono solito premontare sequenze intere subito dopo ogni sessione di riprese, in modo da procedere con la scrittura ad intermittenza e guidare le fasi di riprese successive. Quando ho incontrato il produttore Giovanni Donfrancesco, anche lui regista e montatore dei suoi film, mi ha esortato a cominciare a montare il film da solo. E cosi ho fatto: ho montato una prima stesura di 3 ore e 45 minuti e poi sotto la supervisione di Giovanni e il suo intervento sono arrivato ad una stesura di due ore. A questo punto, ho sentito il bisogno di avere una distanza e nuovo sguardo. Ho proseguito con la montatrice Giorgia Villa, che con il suo talento di storyteller è riuscita a sbloccare nodi essenziali di narrazione, dare al film una forma solida e coerente con le mie intenzioni, sviluppare fluidamente la relazione tra i personaggi del film. È stata un bel momento di fabbricazione del film, estremamente creativa e di scambio, che mi ha permesso di uscire da una fase di creazione che è stata piuttosto solitaria fin dall’inizio. Una solitudine che mi ha permesso, nonostante tutto, di progettare il film senza limiti e freni, mi sono sentito sempre molto libero e sono fiero di aver potuto fare il film che volevo.

In The Last Chapter vita e morte s’intrecciano continuamente toccando molti temi importanti, dall’AIDS al fine vita. Cosa ti ha emozionato di più dei ricordi di Bernard?

Quello che mi ha più emozionato dei suoi racconti, sono stati i ricordi degli anni dell’AIDS. Gli anni 80 e inizio anni 90, quando io ero un bambino e poi un pre-adolescente. Quando l’AIDS a noi ragazzini ci veniva segnalato dalle pubblicità progresso della RAI, dove sotto le note ansiogene di Big Science di Laurie Anderson ci si diceva che “Se lo conosci lo eviti”. E quindi lo si evitava in tutti i modi, non se ne parlava, non lo si vedeva, non lo si viveva. Mi hanno emozionato le sue storie d’amore, gli uomini che ha amato e accompagnato nel loro degradarsi, fino a alla morte; il modo di vivere l’omosessualità in maniera clandestina, e tutto quello che la clandestinità genera: la letteratura, l’iconografia, i costumi di una comunità vittima di una grande sofferenza sociale collettiva. Ascolto le storie di Bernard e ancora oggi mi chiedo se sono, se siamo, capaci di amare così un’altra persona, di amare così la vita.

The Last Chapter
Un’immagine di The Last Chapter

The Last Chapter è anche un documentario sul potere della memoria. Che significato ha per te questa parola?

Per me la memoria è trasmissione, la memoria è traccia. Come dicevo a Bernard, che è convinto che con la morte tutto finisce, quando mi dice “Bisogna essere modesti nella vita, siamo dimenticati in fretta”. Questo tema è molto presente nel film. Le tracce che i nostri giochi erotici lasciano sul mio corpo, la traccia di lui nelle persone, la sua vita che io filmo e che forse resterà per sempre, o comunque che altri vedranno. La poesia che Bernard ha scritto per Christian che non sarà bruciata insieme alle sue foto, ma saranno parole ed emozioni che vivranno negli altri, in coloro che vedranno il film. Questo film è mosso dalla sola intenzione di confutare la teoria di Bernard, e dire “Guardarmi sono qui con la mia macchina da presa per imprimere la tua traccia” questa è la mia missione.

Bernard è consapevole di essere arrivato al capitolo finale della sua vita. La sua lucidità pratica, per te che sei di un’altra generazione e suo ultimo amante, cosa ti ha lasciato?

Mi ha insegnato a distogliere lo sguardo dagli schermi, a guardami intorno. Sarà forse retorico e banale, ma Bernard mi ha insegnato a soffermarmi sulle cose anche quelle più piccole, o perlomeno su quelle che hanno un senso per me, per la mia esistenza. Quando osservo Bernard gioire e soffrire per le sue gatte, quando lo osservo come le sue gatte mentre scruta la vita fuori dalla finestra, quando mi racconta le storie che i dettagli che ha intorno gli evocano, mi viene voglia di fare lo stesso, di vivere alla stessa maniera. Uno dei momenti a cui sono più affezionato nel film, è quando Bernard arriva nella nuova casa, ed è felice di fare il bucato e finalmente stenderlo fuori sul balcone, perché prima non aveva il balcone, poi si prende cura delle piante, si addormenta come le sue gatte nello schiamazzare dei ragazzi del liceo di fronte alle sue finestre, poi si risveglia e con il suo sguardo pieno di amore, orgoglioso e sereno mi dice “Ho comprato un bell’annaffiatoio”. Questo suo sguardo è tutto quello che Bernard mi ha insegnato.

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