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Ghostbusters: Legacy | Mckenna Grace, Jason Reitman e l’eredità di un film leggendario

Da New York all’Oklahoma, dalle lacrime ai sorrisi: gli acchiappafantasmi sono (finalmente) tornati

Ghostbusters: Legacy
Ghostbusters: Legacy

ROMA – Entrambi i titoli sono perfetti: da una parte Ghostbusters: Legacy (per l’Italia), dall’altra Ghostbusters: Afterlife (per gli USA). Eredità e aldilà. O se volete, quello che c’è dopo la vita. A rifletterci bene, la saga di Ivan Reitman, che nel 1984 ha cambiato il corso del cinema pop, parla di fantasmi. Strano ma vero, ce ne rendiamo conto solo ora, quasi quarant’anni dopo, vedendo il terzo film diretto dal figlio Jason. Nei primi due capitoli abbiamo visto spettri, spiritelli ed entità buffe, inquietanti, cattive. In fondo, chi vorrebbe mai avere sul tetto di casa Gozer il Gozeriano? Appunto. Meglio chiamare gli acchiappafantasmi, gli spettri fanno paura. Solo che i fantasmi possono anche essere altro. Magari spiriti guida, una specie di angeli protettori. Il punto, però, è che il tempo passa per tutti, e anche le migliori bande sono destinate a dividersi, perdendosi qua e la pezzi i migliori della vita e degli affetti, divenendo solo lo spettro di un ricordo lontano. Ecco che qui entra in gioco l’eredità. Quell’eredità che Jason Reitman ha ereditato da suo padre, e quell’altra eredità che la Phoebe Spengler di una straordinaria Mckenna Grace eredita da suo no nno Egon, o se volete da Harold Ramis.

Celeste O'Connor, Finn Wolfhard, Logan Kim e Mckenna Grace in Ghostbusters: Legacy
Celeste O’Connor, Finn Wolfhard, Logan Kim e Mckenna Grace in Ghostbusters: Legacy

Allora, se la memoria si fa sfilacciata, arriva il momento di rispolverare gli attrezzi del mestiere, quelli che hanno fatto vibrare almeno tre generazioni. Questo era l’unico modo per realizzare un sequel che fosse all’altezza dei mitici precedenti: mischiare le generazioni, scambiare i ruoli, ammiccare al passato ma sterzare la (scassata) Ecto-1 verso il futuro. A cominciare dalla location: lontani dal caos di Manhattan, Reitman con Ghostbuster: Legacy – che ha scritto il film insieme a Gil Kenan – sposta le dinamiche in una sperduta città dell’Oklahoma. Carrie Spengler (Carrie Coon) eredità la vecchia casa di suo padre e vi si trasferisce con i suoi due figli, Phoebe (Grace) e Trevor (Fin Wolfhard). Da fare c’è ben poco, e Phoebe appassionata di scienza, finisce per curiosare nel ciarpame elettronico lasciato da suo nonno: ci sono degli strambi contenitori a strisce gialle e nere, diversi zaini protonici e, soprattutto, la sensazione che in quel buco sperduto degli Stati Uniti d’America stia per venire giù… l’Apocalisse.

ghostbusters legacy
Who you gonna call?

Oggetti, rimandi, richiami. Sguardi e parole, suggestioni e citazioni. La connessione tra passato e presente è fortissima, dunque le svolte del film non potevano non riprendere lo spirito di Ghostbusters, rispettandolo, esaltandolo e, in qualche modo, tramandarlo ai nuovi spettatori, che troveranno nel film le atmosfere che conoscono e amano anche grazie alla serialità (qualcuno ha detto Stranger Things?). Oltre ad essere il sequel di un cult assoluto, Ghostbusters: Legacy è anche un film sui rapporti umani, e su quanto sia doloroso dire addio ad una persona amata. Afterlife, per l’appunto, oltre la vita e, forse, oltre la morte. Chiaro, dietro gli aspetti più poetici e romantici, che mescolano il romanzo di formazione all’avventura d’altri tempi (e infatti ritroviamo i temi cari a Jason Reitman), questo Ghostbusters è anche molto, molto spassoso.

Mckenna Grace e Jason Reitman sul set di Ghostbusters: Legacy
Mckenna Grace e Jason Reitman sul set di Ghostbusters: Legacy

Ci sono dei mini Marshmallow Man che vi faranno perdere la testa, e i personaggi di Mr. Grooberson (Paul Rudd) e Podcast (il giovane Logan Kim) sferzano battute decisamente divertenti, dando alle due ore di durata quel tono scanzonato che ha fatto la fortuna del Ghostbusters datato 1984. E sì, trepidando sulla poltrona della sala alla fine del viaggio, nel momento che attendevamo di più, l’incontro tra ciò che sono e ciò che erano gli acchiappafantasmi diventa una fotografia di famiglia che scalda e commuove, riportandoci idealmente sul tetto del Ghostbusters Building (55 Central Park West), quando quattro scapestrati e brontoloni sognatori salvarono il mondo dalla distruzione. Oggi, quegli eroi sono diventati molto di più: l’esempio perfetto per una nuova generazione, estasiata dalla potenza e dalla sensibilità di un cinema fatto – davvero – con il cuore.

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Qui la nostra intervista a Gil Kenan:

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