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Francesca Archibugi: «Vivere? La mia famiglia umana, bella e moderna»

Abbiamo intervistato la regista, che ci ha raccontato il suo nuovo film e la sua idea di cinema

Francesca Archibugi sul set di Vivere

VENEZIA – L’immancabile pipa e un sorriso dolce, di quelli che sanno metterti a tuo agio, soprattutto tra la confusione di un set cinematografico. «Verso Sera, Il Grande Cocomero, Lezioni di Volo… Divido la mia vita in film, portando il ricordo di tutti: gli attori, i produttori, i collaboratori. Figure fondamentali che spesso non vengono raccontate. In giro c’è troppo fanatismo autoriale. Allora l’importante è portarsi dietro gente di talento». E, Francesca Archibugi, per il suo nuovo film, Vivere, che definisce nella nostra intervista, «Una commedia umana», scegli un gruppo di attori eccezionali, a cominciare dai protagonisti, Micaela Ramazzotti e Adriano Giannini, che interpretano Susi e Luca, compagni annoiati e genitori distratti della piccola Lucilla. «La famiglia?», ci confida la regista, «oggi è diversa, aperta al mondo, come una sorta di girotondo…».

Francesca Archibugi: il controllo in monitor e la sua pipa

Come è nata la storia di Vivere?

Devo dire che mi vengono fuori delle storie che sono delle commedie umane, dove la famiglia è centrale, ma poi si apre. In fondo tutti siamo legati ad altro. Le relazioni che si intrecciano dentro e fuori la famiglia – amicizia, lavoro, quelle extra-coniugali – sono altrettanto importanti a modo loro. Abbiamo così raccontato un girotondo, dove si parte da un nucleo per allargarlo ad altre persone. Qui c’è questa ragazza irlandese (interpretata da Roisin O’Donovan ndr.), cattolica e amante dell’arte, che si stupisce di questa realtà nuovo, e tutto comincia a girare al contrario.

A chi parla, invece, il suo film?

A 17 anni anni, se non avessi letto Felicità di Katherine Mansfield, quando in quel momento la storia era totalmente distante da me, non avrei capito tante cose della vita. Questi film sono importanti anche per i giovani, perché hanno una relazione con il romanzesco. E finché me li faranno fare, continuerò a fare film così.

La scena spiegata prima delle riprese: Micaela Ramazzotti e Francesca Archibugi

L’evoluzione famigliare ha accompagnato la sua carriera. Come si racconta oggi una storia come quella di Vivere?

Mi considero un vettore. Leggo, vedo film, parlo con le persone e sì, ascolto le loro storie. Le cose mi attraversano, ma non mi considero importante. Però, cerco di fare bene le cose, dirigendo gli attori senza vanità della messa in scena. La storia, in fondo, deve essere raccontata da sé stessa. In parte c’è umiltà in una visione come la mia, ma in parte c’è anche caparbietà nel difendere questa idea di cinema che, in questo momento, mi sembra minoritaria.

Perché al cinema si ha paura di sbagliare?

Vivere è sbagliare. Bisogna capire che gli sbagli vanno accettati senza giudicarli. Per la sua parte, Adriano Giannini, doveva, contenere una cupa dolcezza, capace di far comprendere il personaggio, senza essere sindacalizzato, nonostante la sua morale certamente ambigua. Ma in realtà lui è incapace di essere felice, e quindi volevo si creasse un’empatia verso di lui.

Adriano Giannini e Francesca Archibugi

Nel film c’è anche una brava Micaela Ramazzotti. Oltre ad un indecifrabile Marcello Fonte…

Micaela, per me, è una specie di “cognatina”. Le voglio molto, molto bene. È istintiva, si immedesima, è un soldato con i suoi personaggi. Studia e si prepara alla grande. Ma, sul set, dopo le prove, diventiamo tutti parenti. Una sorta di traversata oceanica tutti insieme, dove il rapporto diventa come sulle navi, evolvendosi in una stretta vicinanza. Poi, quando ti stacchi – e non è facile – , parti per un altro viaggio. Marcello Fonte? Di lui mi sono innamorata in Dogma, ma in Vivere doveva contenere una sorta di inquietudine, di malinconia. Un piccolo ruolo ma fondamentale. Gli dicevo, “Marcello, tu sei me, sei tu che li guardi dalla finestra…”. Marcello è un grande artista, totalmente diverso da tutti gli altri.

L’occhio della regista

Oggi, invece, che cinema abbiamo in sala?

C’è un cambiamento enorme. La tv, la sala cinematografica. Siamo tutti smarriti. Però oggi c’è una grande opportunità narrativa, perché mai come adesso la gente cerca storie per immagini. Non bisogna lagnarsi, ma rimboccarsi le maniche e lavorare. La sala non morirà mai, chiaro, ma si deve affiancare bene al consumo casalingo, dato che le tv diventano sempre più grandi…

  • Qui la nostra intervista al cast di Vivere:

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