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Diamanti | Luisa Ranieri, Jasmine Trinca e il mondo di cinema di Ferzan Ozpetek

Un regista, le sue attrici e una riflessione sulla vita che riflette il cinema. Ma com’è il film?

Luisa Ranieri, Ferzan Ozpetek, Jasmine Trinca e il cuore di Diamanti
Luisa Ranieri, Ferzan Ozpetek, Jasmine Trinca e il cuore di Diamanti.

MILANO – Ci sono voluti cinque anni, ma Ferzan Ozpetek è tornato al cinema dopo un passaggio doppio in piattaforma. E questa volta, chi nei ventisette anni trascorsi da Il bagno turco – per molti, non a torto, ancora uno dei suoi migliori – è stato tra i suoi estimatori, non potrà fare a meno di apprezzare ancora gli elementi portanti e caratteristici del suo cinema. Molto autoironicamente, Diamanti si apre proprio con uno dei suoi iconici pranzi in terrazza, a richiamare esplicitamente Le fate ignoranti, film che lo lanciò definitivamente tra le stelle del cinema borghese (nel senso buono) italiano. Qui però, tra un valzer della cinepresa, una carrellata sui volti di chi è a tavola e una teglia di lasagne, scopriamo che il padrone di casa è lui, lo stesso regista, interprete di se stesso, che sta banchettando con alcune attrici con cui ha lavorato, da Kasia Smutniak a Milena Vukotic, da Mara Venier (proprio lei!) a Geppi Cucciari, passando per le due protagoniste di Diamanti: Luisa Ranieri e Jasmine Trinca. Ma come mai?

Luisa Ranieri e Jasmine Trinca in un momento del film
Le sorelle: Luisa Ranieri e Jasmine Trinca in un momento del film

La risposta è semplice: siamo nell’ambito del meta-cinema (sempre ben accetto quando giocoso e non forzato) e Ozpetek sta mettendo in scena se stesso che spiega alle sue commensali – e indirettamente a noi, spettatori del tutto – il suo progetto. Quale? Girare un film sulle donne, un’opera corale in cui le interpreti siano le donne con cui ha lavorato e con cui negli anni ha intrattenuto rapporti umani di stima reciproca, che lo hanno ispirato e hanno condiviso con lui l’amore per il lavoro e il cinema. Pance piene, occhiali da lettura inforcati, copioni alla mano e il grande schermo trasforma l’immaginazione di Diamanti in realtà e ci porta tutti quanti indietro di cinquant’anni: una puntata di Milleluci ci suggerisce infatti che siamo nella primavera del 1974. Il luogo è una bellissima villetta neo-rinascimentale sede della Sartoria Canova, piccolo regno in cui le sorelle Alberta (Ranieri) e Gabriella (Trinca) disegnano e producono i costumi per i migliori registi dell’epoca.

Una scena di Diamanti
Poteva mancare la tavolata? Una scena di Diamanti

Un’altra era, senza dubbio, un altro cinema, ma soprattutto un altro tempo in cui vivere. Ma attenzione: quella compiuta da Ozpetek in questo Diamanti non è una operazione nostalgia, bensì il tentativo di collocare i suoi personaggi in un non-luogo (il microcosmo della sartoria) e in un non-tempo (la corda tesa tra l’immediato Dopoguerra e l’oggi che sono stati gli Anni ’70), in modo da trovare il grado di universalità sufficiente per poterci parlare dell’essere donna in generale, nei suoi molti modi possibili. E parlare a noi, oggi, seduti in platea. E così, all’interno della sartoria, abbiamo questo mondo unicamente femminile, in cui gli unici uomini a comparire sono giovani e prestanti maschietti ridotti a strumenti di piacere o, ben che gli vada, aiutanti-segretari senza un pensiero formato e per una volta è davvero simpatico e soprattutto efficace il ribaltamento dei ruoli rispetto al cinema nazionalpopolare.

Diamanti di Ferzan Ozpetek: Dal 19 dicembre al cinema con Vision Distribution
Dentro e fuori dallo schermo: Ferzan Ozpetek sul set.

Mentre all’esterno si intravede il mondo reale, tra mariti violenti e mariti adorabili (una bella sorpresa Luca Barbarossa come attore), figli a carico, indigenze, figli incomprensibili, amicizie, desideri, rigidità, amori vecchi e nuovi, ammaccature, delusioni e rassegnazioni (davvero ottima anche Mara Venier, non era scontato), e anche i legami familiari, sempre in bilico tra l’esser stati scelti e il dato biologico del sangue comune. E in tutto questo il tocco di Ozpetek si vede, eccome se si vede. Non solo per quel suo realismo emotivo con cui mette al centro l’individuo come risultato di un processo di formazione unico e irripetibile, ma anche per la capacità di rendere la profondità psicologica di diversi personaggi in poco tempo grazie alla pulizia della scrittura (fondamentale per non finire in un caos) e alla precisione dei gesti (e qua è decisiva la sua vicinanza umana con le attrici).

Un momento del film
Un altro passaggio del film all’interno della sartoria.

Il mistero che ciascuno si porta dentro – spesso doloroso e tutto da scoprire – guida ogni azione, ogni sguardo, ogni scelta di vita ed è davvero raro che un film corale riesca ad avere momenti di intima intensità così. E, infine, c’è il discorso sui costumi, che sono semplicemente straordinari. Del resto, come avrebbe potuto essere diversamente, visto il mestiere delle protagoniste? Però vale qui la pena di sottolineare il lavoro del costumista Stefano Ciammitti (già con Garrone su Io Capitano), che insieme a Ozpetek si diverte a vestire gli attori, ma fa anche un’opera di storia del costume con Diamanti, andando a omaggiare tanto quelli de Il Casanova di Fellini (per cui Danilo Donati vinse l’Oscar per i Costumi nel 1976) oppure quello indossato da Claudia Cardinale ne Il Gattopardo di Visconti. Almeno un nichelino sul David di Donatello conviene puntarlo? Sì, ma quello che rimane addosso è più di un semplice film per i premi: è cinema puro…

 

 

 

 

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