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Triangle of Sadness | La satira sociale Ruben Östlund? Si prende gioco di noi

Sarcastico, feroce, divertente. La Palma d’Oro a Cannes è uno specchio in cui vederci

Triangle of Sadness
I protagonisti di Triangle of Sadness di Ruben Östlund

ROMA – Una cosa divertente che non farò mai più. È il titolo di un saggio di David Foster Wallace in cui lo scrittore raccontava la sua (esilarante e tragicomica) esperienza su una crociera extra-lusso nel mare dei Caraibi. Ma è anche una frase che potrebbe perfettamente racchiudere lo spirito di Triangle of Sadness, film diretto da Ruben Östlund vincitore della Palma d’Oro a Cannes 75 – la seconda per il regista dopo quella, del 2017, per The Square – ambientato, in parte, proprio su una nave da crociera. Protagonista una coppia di modelli, Carl e Yaya (Harris Dickinson e Charlbi Dean, prematuramente scomparsa lo scorso agosto), invitati, in quanto influencer, a partecipare a una traversata di lusso insieme a un bizzarro gruppo di super ricchi e a un comandante (Woody Harrelson) con il debole per gli alcolici e Karl Marx.

Triangle of Sadness
“Lo sguardo Balenciaga”.

Un viaggio fatto di bagni in piscina, scatti da postare sui social, convenevoli con ospiti facoltosi che si trasforma in un incubo quando un evento catastrofico colpisce la nave e capovolge ogni dinamica di potere che vigeva sull’imbarcazione. Improvvisamente avere conti in banca a sei zero e orologi che valgono quanto appartamenti non serve a nulla. L’unica regola è quella della sopravvivenza e per chi è abituato ad essere servito e riverito ecco che la vita da sogno diventa un incubo. Ruben Östlund, ancora una volta, firma una satira sui ruoli sociali. E se con The Square nel mirino c’era il mondo dell’arte, con Triangle of Sadness parte dall’industria della moda per demolire gli stereotipi di genere e le classi sociali.

Harris Dickinson e Charlbi Dean in una scena di Triangle of Sadness

Sarcastico, feroce, divertentissimo. Triangle of Sadness è uno specchio nel quale vederci riflessi. Diviso in tre parti, il film è un continuo gioco di ribaltamenti: modelle che guadagnano di più della controparte maschile ma pretendono che siano loro a pagare il conto del ristorante, capitani marxisti che elargiscono perle socialiste ad un gruppo di milionari capitalisti che hanno fatto la loro fortuna con la vendita di armi, invisibili donne delle pulizie che diventano leader in un mondo in cui a contare è saper accendere il fuoco e cacciare.

Triangle of Sadness
Un attimo prima della catastrofe

Triangle of Sadness si prende gioco della body positivity, del nostro bisogno di cancellare ogni imperfezione – il titolo è un rimando proprio alla ruga d’espressione in mezzo agli occhi -, dell’ipocrisia di slogan come “We Are Equal” in un mondo in cui la disparità di trattamento è la norma e la moneta corrente è la bellezza. Un film che parla di privilegi e di come siano in grado di cambiare noi e la nostra percezione di ciò che ci circonda oltre che una nuova riflessione su cosa significhi essere uomini oggi (elemento presente anche in Forza Maggiore e The Square). Senza dimenticare che il film di Östlund ci ha regalato la sequenza cult dell’anno: un gruppo di super ricchi, simbolo del Capitalismo più sfrenato, in preda a ingenti perdite corporee che, nel bel mezzo dell’Oceano durante una mareggiata, è costretto ad ascoltare il capitano marxista di Woody Harrelson elargire massime socialiste. Geniale.

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La video intervista a Ruben Östlund è a cura di Manuela Santacatterina:

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