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Tofu In Japan | Il cibo, la poesia di Mitsuhiro Mihara e il cuore del signor Takano

Un piccolo grande film, una storia familiare assolutamente da non perdere. Ecco perché

Tofu In Japan
Tatsuya Fuji e Aso Kumiko in un dettaglio del poster di Tofu In Japan.

ROMA – Alla grande tradizione del racconto cinematografico giapponese, tipicamente familiare, cui appartengono nomi quali Yasujirō Ozu (Viaggio a Tokyo e Il gusto del sakè), Takeshi Kitano (vedi L’estate di Kikujiro) e Kore’eda (Father and Son, ma forse ancor più Un affare di famiglia), si lega fin da subito Tofu in Japan – La ricetta segreta del signor Takano, il secondo lungometraggio da regista di Mitsuhiro Mihara, vincitore del Premio del pubblico al Far East Film Festival, il film di Mihara e ora in sala a cura di Academy Two, titolo perfetto per la nostra rubrica Orient Express (qui trovate le altre puntate). Sulle seconde possibilità e la via del perdono, che conduce sì alle lacrime della sofferenza e dell’accettazione, ma anche a quelle della risata e dell’amicizia. Ad Onomichi, una piccola città nella parte occidentale del Giappone, sopravvive nonostante il progresso e l’anzianità del burbero proprietario Tatsuo Takano (Tatsuya Fuji, volto e corpo storico di Ecco l’impero dei sensi), la bottega familiare Takano Tofu, che oltre a rifornire buona parte dei supermercati locali, è per i cittadini di Onomichi una vera e propria leggenda.

Tofu In Japan
Padre e figlia in cucina in una scena di Tofu In Japan.

Tatsuo però non è solo, a fargli compagnia tanto nel lavoro, quanto nella vita c’è la figlia Haru (Aso Kumiko), tornata alla sicurezza del nido familiare, dopo aver divorziato con il primo marito. Tutt’attorno, gli amici scansafatiche di Tatsuo, il cui obiettivo principale è uno soltanto: trovare un nuovo compagno per Haru. La difficoltà più grande? Il tradizionalismo e il carattere scontroso di Tatsuo. Chi avrà la meglio? Il destino, la vita stessa o il vento del perdono? Ancor prima di farsi dramma familiare, registro di tono senz’altro presente nel film che Mihara, vorrebbe invece camuffare come commedia gentile e buffa, dai tempi estremamente dilatati e compassati, Tofu in Japan ripercorre le medesime tracce, o quasi del recente e celebrato Perfect Days di Wim Wenders. Vero e proprio caso cinematografico, capace di porre al centro dell’attenzione la bellezza del minimalismo quotidiano e dell’ordinarietà, che è poi chiaramente straordinarietà della vita, ponendo l’accento sull’importanza della famiglia, o almeno, di ciò che ne resta.

Tofu In Japan
Il piacere delle piccole cose in una scena di Tofu In Japan.

Tofu in Japan vive dello stesso minimalismo formale ed estetico, eppure quello di Mihara è un cinema molto più di parola e al tempo stesso d’ascolto. Padre e figlia si confessano l’uno all’altra, scontrandosi continuamente, per poi ritrovarsi ancora e ancora, per sempre. Poiché solo nell’abbraccio confortante e potente – anche in funzione muscolare – della famiglia, il dolore può trovare il suo rifugio e il suo sollievo più concreto. Si ride, e molto, nella prima parte del film. Quella della confusione, generata dal gioco d’incontro e d’amore combinato per il futuro coniugale di Haru e il soddisfacimento morale del vecchio e scontroso Tatsuo. Rivivono in tal senso, veri e propri spiriti Wilderiani ed Alleniani (Basta che funzioni, ma anche Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni), destinati ben presto a svanire, in virtù di un cinema sempre più malinconico e nostalgico, che osserva la vita come viaggio e terra d’occasioni.

Tatsuya Fuji e Aso Kumiko in un altro momento del film.

Quelle di Tatsuo sono già state giocate e forse sprecate – l’incontro improvviso con la sconosciuta Fumie rappresenta dunque il cammino di redenzione intrapreso – mentre quelle di Hau sono ancora sul piatto. L’amore non è qualcosa di pianificabile, accade e basta. Da qui la necessità di viverlo appieno, senza pentirsi, senza limitarsi. Come detto, oltre la commedia, il dramma, che attraverso la figura scontrosa, estremamente tradizionalista, conflittuale e in definitiva amorevole, seppur nella maniera più laconica e remissiva possibile di Tatsuo, ritrova un certo cinema di Clint Eastwood. Soffermandosi sulle colpe mai assolte di un uomo coriaceo che dalla vita ha avuto molto, lamentando però l’assenza del tutto – ricercato, eccome se ricercato – Mihara, affida al volto segnato dal tempo e dal cinema di Tatsuya Fuji, l’importanza dell’ascolto e l’accettazione della perdita, che non è mai negazione, ma accoglienza. Una perdita che coincide qui con l’amore, forse addirittura ritrovato, grazie agli incontri fortuiti e al destino. Un esempio perfetto di cinema gentile e sussurrato, nient’affatto limitato da un minimalismo di forma. Strumento ideale per il raggiungimento dell’universale.

  • ORIENT EXPRESS | Viaggio a Tokyo, un capolavoro senza tempo
  • VIDEO | Qui il trailer di Tofu In Japan:

 

 

 

 

 

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