MILANO – Il Festival del Cinema di Venezia significa anche Settimana Internazionale della Critica (SIC), la sezione autonoma e parallela che ogni anno regala opere prime ricercate e peculiari come Peacock, film austriaco diretto da Bernhard Wenger che gravita attorno ad un’azienda “rent-a-friend” (quei servizi che mettono in contatto le persone che cercano amici con cui uscire, fare attività insieme o semplicemente chiacchierare). In Peacock, Matthias (Albrecht Schuch) dirige proprio una di queste aziende con grandi risultati, ma quando la fidanzata Sofia lo lascia, la sua vita precipita nel caos mentre il suo lavoro e la sua vita privata iniziano a mescolarsi. Peacock è il racconto cinico e divertente di un uomo perso tra le varie identità e personalità del suo lavoro, che è costretto a fare i conti con una realtà solitaria e a volte anche spaventosa quando queste comfort zone, meticolosamente costruite, crollano come castelli di carte perché si accorge di portare “il lavoro a casa”.
È un racconto, questo di Bernhard Wenger, molto debitore al cinema norvegese e danese degli ultimi anni: dai caustici commenti di Kristoffer Borgli alla satira contemporanea di Ruben Östlund. Il film di Wenger deve molto proprio nei confronti di quest’ultimo autore, e in particolare a The Square con il quale ha in comune il tema dell’assurdità e dell’imprevedibilità, quando si tratta di aiutare il prossimo. E anche se Peacock sembra ricercare con affanno quasi la riproposizione frame per frame di quello stile e di quell’umorismo, le due opere sono diverse: Wenger pone al centro della sua storia un uomo oggettivamente viscido che mette in discussione la propria identità nel tentativo di crescere e riflettere su sé stesso.
Se Östlund è più un regista che mette in vetrina questi “mostri”, in Peacock si cerca la redenzione finale anche per la società, costi quel che costi. La strada per il riscatto è fatta però di un umorismo surreale davvero tagliente, in cui Albrecht Schuch si muove con una compostezza e una rigidità altrettanto comica, come un Glen Powell austriaco in una versione sotto acidi di Hit Man: un protagonista degno di nota che eleva il disagio del film, rendendo l’opera prima di Wenger già il piccolo cult della SIC.
- HOT CORN TV | Intervista ad Albrecht Schuch
- HOT CORN TV | Bernhard Wenger racconta il film:
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