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Per sempre meravigliosa creatura. Ovvero: perché continuiamo ad amare Natalie Portman

Dall’esordio di Léon all’Oscar per Il cigno nero, tra Zach Braff e il sottovalutato Vox Lux

Natalie Portman sul set di Léon di Luc Besson. Siamo nel 1994.

MILANO – Il colpo di fulmine fu immediato, anche se lei era piccola. Molto piccola. Eppure, ripensandoci ora, Natalie Portman era già una grande attrice. Perché la Mathilda di Léon è uno dei ruoli più belli che una tredicenne possa desiderare di avere all’esordio e chiunque ami quel tipo di storie estreme non rimase indifferente a quella visione. Dopotutto, quando nel corso dell’adolescenza i tuoi genitori sono Al Pacino in Heat, Alan Alda in Tutti dicono I Love You e Susan Sarandon in La mia adorabile nemica è difficile si cresca poi senza una forte predisposizione per il cinema. Così forte da essere già un’icona della più famosa saga di tutti i tempi: siamo nel 1999 quando Padmé Amidala ne La minaccia fantasma comincia a far battere il cuore a ogni ragazzino nato negli anni Ottanta e nei primi Novanta.

Nonostante i poster e il successo, l’indole di Natalie però è stata – e rimane – sempre alternativa e ribelle. La mia vita a Garden State (ma ve lo ricordate? Lo ritrovate qui su CHILI) rimane ancora oggi un gioiellino indie in cui salva la vita a Zach Braff di Scrubs in versione depressa. Closer è invece un perverso gioco di ruolo in cui fa perdere la testa a sex symbol come Clive Owen e Jude Law (e anche a noi). Tutti adorano Natalie, a partire da coloro per cui V per vendetta è molto più di un semplice blockbuster fantapolitico. La sua Evey Hammond è un simbolo femminile di protesta da parte dei movimenti anarchici e libertari contro il potere dei pochi e lo sfruttamento dei tanti.

Portman con Hugo Weaving in V per Vendetta.

La politica e l’impegno sono sempre stati presenti nel percorso di questa piccola donna di un metro e sessanta, nata a Gerusalemme e da sempre in lotta per la pace, per i diritti civili, per la difesa dell’ambiente e degli animali (il suo debutto alla regia la riporterà lì con Sognare è vivere tratto da Amos Oz nel 2015), vegana convinta e appassionata sostenitrice democratica. Tutti adorano Natalie Portman, ancor prima che si consacri come la più grande attrice della sua generazione, ancor prima che il sogno del suo corpo minuto da ballerina si trasformi in incubo nel delirante, estremo capolavoro psycho-horror Il cigno nero di Darren Aronofsky.

L’Oscar: Natalie Portman in Black Swan.

E così nel 2011 arriva anche l’Oscar, sacrosanto. Perché non è necessario sentirsi supereroi come Thor per decidere di rischiare la vita per lei (notare anche l’apparizione in Endgame) tanto che anche se fossimo casi umani come il metallaro rozzo e incendiario di Joseph Gordon-Levitt in Hesher è stato qui sentiremmo il bisogno di dedicarle il nostro amore. Per celebrare la sua bellezza a un certo punto si è disturbato addirittura il vecchio eremita Terrence Malick che la omaggia negli estetizzanti Knight of Cups e Song to Song con attimi che non sono altro che una lunga serie di meravigliose fotografie.

Con Christian Bale in Knight of Cups di Terrence Malick.

Per sfruttare ulteriormente il suo talento di interprete drammatica, Larraín le affida il ruolo della vedova Kennedy in Jackie, dove è ovviamente splendida, nuovamente dolente, lucidamente orgogliosa. E se può capitare qualche passo falso come lo sci-fi Annientamento, il riscatto è subito dietro l’angolo grazie al viscerale e funereo Vox Lux, passato a Venezia e poi dimenticato e da recuperare in streaming (lo trovate qui), forse la prova più sgradevole, isterica, oscura e coraggiosa della carriera di quella che oggi è diventata una magnifica quarantenne Natalie Portman. Per sempre meravigliosa creatura.

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