LOCARNO – Sul lago maggiore alle pendici delle Alpi, nel terzo giorno del Festival di Locarno è il momento del primo film italiano in concorso internazionale, Luce, diretto da Silvia Luzi e Luca Bellino. Una presentazione che sa di ritorno, per i due giovani registi che approdano nella capitale del cinema d’autore ripercorrendo i loro temi più cari: la famiglia, il lavoro, le relazioni e il potere. In un paesino montano dell’Irpinia, vicino Avellino, una giovane donna (Marianna Fontana) vive una vita sospesa tra la monotonia e un’aspirazione silenziosa. Le sue giornate scorrono lente, scandite dal lavoro ripetitivo in una fabbrica che lavora le pelli, dove le piccole pause, le sigarette veloci e il rumore delle macchine sono gli unici compagni di una vita solitaria. Un’esistenza intima, privata, come intreccio delicato di gesti quotidiani, condivisi solo con un gatto e pochi parenti, in un isolamento che sembra quasi voluto.
‘’L’esigenza che ci ha portato a raccontare questa storia – hanno detto i registi ai microfoni di The Hot Corn – è forse biografica. Parla di rapporti di potere. E noi abbiamo scelto ancora una volta il rapporto tra un padre e una figlia. Sono i temi che noi trattiamo, la famiglia come grado 0 della rivoluzione. E come arena quel sud Italia che racchiude in se’ tanti mondi: un luogo di umori, paesaggi sfaccettati, posti freddi e montagnosi dove l’orizzonte è anche fisicamente difficile da vedere. Volevamo questa nostra protagonista chiusa in un luogo che non ha nome, come la protagonista stessa. Non è il sud che si racconta, ma è un sud buio, perché esiste anche quello’’.
Un giorno, durante una festa di comunione, la protagonista alza gli occhi al cielo e vede un drone che sorvola il villaggio. In quell’attimo di sospensione, una scintilla si accende nella sua mente: l’idea di stabilire un contatto con una presenza lontana, inaccessibile, attraverso il filo sottile di una chiamata telefonica. È l’inizio di un legame che si fa sempre più profondo, un dialogo fatto di parole e silenzi in cui ciascuno proietta sull’altro i propri desideri e le proprie paure.
Le lunghe riprese in sequenza e i continui primi piani con camera a mano, sono ciò che di più intimo c’è della condizione umana rappresentata dai due registi. E sulla lotta contro le catene invisibili che la società impone. La fabbrica diventa una prigione di rituali meccanici, dove anche la solidarietà tra colleghi è intrisa di una polvere che si fatica a scrollare di dosso. Nei confronti con le donne più anziane, la protagonista trova solo un’eco di limitazione e conformismo, catturata con una precisione antropologica che sfiora la poesia. In questo continuo scambio ipnotico, lo spettatore viene invitato a lasciarsi trasportare dal flusso delle parole, a cogliere le sfumature tra ciò che viene detto e ciò che rimane nascosto. E se Marianna Fontana con il suo sguardo enigmatico e la sua voce piena di contraddizioni dà (ancora una volta) vita a un personaggio complesso e affascinante, dall’altra parte la voce profonda di Tommaso Ragno aggiunge mistero e intensità.
Un’opera che la Luzi e Bellino raccontano in modo sofisticato e, spesso, coraggioso. Cos’è – d’altronde – la relazione tra un individuo e il mondo che lo circonda? Una domanda che i due autori spesso pongono in essere al centro dei loro lavori. Anche se forse con Luce non si raggiunge la compiutezza definitiva, resta altresì un viaggio affascinante che porta ossigeno ad un nuovo modo di vedere il cinema.
- HOT CORN TV | Luzi e Bellino raccontano il film
- HOT CORN TV | Marianna Fontana racconta qui Luce:
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