ROMA – A Lidia non è permesso di fare l’avvocato per una legge scritta dagli uomini. Perciò questa volta punta in alto: vuole cambiare legge. Mentre continua a collaborare con il fratello Enrico, vuole convincerlo a candidarsi in Parlamento. Lidia ha chiuso con l’amore, tanto più con Jacopo, responsabile di aver venduto la villa di famiglia e in rotta di collisione con i Poët. Ma Jacopo e Lidia sono costretti a rivedersi per condividere un’indagine. Nei sei nuovi episodi Lidia continuerà a scomporre i tasselli di un mondo costruito dagli uomini per gli uomini, con genialità, spiazzando l’avversario con intelligenza. Con Matilda De Angelis, Eduardo Scarpetta e Pier Luigi Pasino, la seconda stagione di La Legge di Lidia Poët di Guido Iuculano e Davide Orsini è finalmente arrivata su Netflix.
Intanto una curiosità storica, perché Lidia Poët è una delle tante figure che la storia – molto spesso scritta dagli uomini – ha cercato di seppellire. Si tratta, infatti, della prima donna a essere entrata nell’Ordine degli avvocati in Italia, contribuendo attivamente alla realizzazione dell’attuale diritto penitenziario. Una vita all’insegna della ricerca di legalità e giustizia, non priva di imprevisti, come quando – ed è proprio questa la base narrativa della prima stagione di La Legge di Lidia Poët – nel novembre 1883, la Corte d’Appello di Torino accolse la richiesta del procuratore generale del Regno circa l’illegittimità dell’iscrizione all’Albo, annullandola. La ragione era che – essendo la professione forense qualificata come ufficio pubblico – questa comportava una ovvia esclusione dato che l’ammissione delle donne agli uffici pubblici andava prevista per legge.
Un’epoca, l’Ottocento italiano, dove le dinamiche del patriarcato erano la normalità, dove alla donna venivano negati diritti e privilegi sulla base di una presunta inferiorità in termini biologici e organici. L’esclusione della Poët derivava quindi dalla naturale riservatezza del sesso, dalla sua indole, la destinazione, la fisica cagionevolezza e un’eventuale incapacità a possedere forze intellettuali e morali – come la fermezza, la severità di giudizio e la costanza – che le avrebbero impedito di essere all’altezza dei propri colleghi uomini. Più semplicemente: in un mondo di uomini una donna non avrebbe mai potuto dettare legge. Questo ci porta anche alla particolare scelta di parole del titolo della produzione Netflix. Perché sarebbe stato più facile, in effetti, intitolarla Le Indagini di Lidia Poët anziché La Legge.
Ma è esattamente di questo che stiamo parlando, in verità, di una legge, di un’affermazione, una presa di posizione verso la società. Poi, certo, in termini drammaturgici, l’idea di una protagonista geniale e di talento (qui merito anche di una De Angelis formidabile nel creare la voce di Lidia) spogliata del proprio incarico e costretta ad appoggiarsi alla rete intorno – il fratello Emilio (Pasino è straordinario) e il giornalista e cognato Jacopo (Scarpetta sempre più bravo di puntata in puntata) – per compiere il proprio dovere in forma mediata è un’occasione narrativa eccezionale. Sviluppo lineare, semplice, pulito, in una struttura classica tra la verticalità del caso di puntata e l’orizzontalità – specie nella prima stagione – della battaglia umana e ideologica.
Se oggi, però, parliamo de La Legge di Lidia Poët come una delle produzioni più interessanti del panorama seriale contemporaneo è anche e soprattutto per la sua componente valoriale. È nella seconda stagione, infatti, che questa cresce a dismisura – con Lidia di riflesso in termini caratteriali e relazionali – introducendo le battaglie legali per il diritto al voto e con esse una riflessione a tutto campo sul concetto di libertà: da difendere a ogni costo per le donne; superflua e data quasi per scontato per gli uomini. Questo influisce anche sulla qualità della scrittura dove un certo didascalismo del primo ciclo di episodi lascia qui il posto a una maggiore naturalezza.
Sono gli eventi scenici a far affiorare le tematiche – universali e senza tempo – della narrazione e a guadagnarci è proprio l’orizzontalità. C’è più armonia nello sviluppo della seconda stagione di La Legge di Lidia Poët, l’intreccio è più solido e appassionante, specie perché a questo punto, a poco più di un anno di distanza, se i primi sei episodi servivano a farci conoscere le peripezie di Lidia, Jacopo ed Enrico, con questi nuovi sei si tratta più di un gradito ritorno di personaggi – e di una storia – a noi ormai familiare. Una serie di cui non si proprio più fare a meno!
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