MILANO – «Avevo immaginato la storia de Il lago delle oche selvatiche prima di girare Fuochi d’artificio in pieno giorno, nel 2014, ma non mi sembrava abbastanza rifinita, così l’avevo chiusa dentro un cassetto. Il mio sogno? Era di riuscire a realizzare un thriller. Sono un grande appassionato dei noir americani degli anni ‘40 e ‘50». Così Diao Yinan svela la genesi del suo nuovo film, Il lago delle oche selvatiche, in sala dal 13 febbraio con Movies Inspired, un film che ruota attorno alla lotta per la libertà del criminale Zhou Zenong (Hu Ge) e della prostituta Liu Ai’ai (Gwei Lun Mei), pronti a nascondersi sulle rive di un lago per sfuggire alla polizia e, forse, sperare in un futuro differente. Presentato a Cannes, il film è ambientato proprio a Wuhan, luogo ora tristemente noto per la diffusione del coronavirus.

UNA SCELTA ROMANTICA – «Tutto è cominciato da una notizia che ho letto su un giornale, qualche anno fa. Da quello spunto mi sono messo a elaborare una prima bozza di sceneggiatura. Rappresentare il cosiddetto jianghu, il mondo sotterraneo della criminalità nelle periferie delle grandi città cinesi, per me è stata fin dall’inizio una scelta romantica. Credo che il romanticismo dei film noir occidentali sia simile a quello dei cappa e spada cinesi, anche se il wuxiapian privilegia un piano poetico ed estetico, mentre il noir affronta i temi del destino, dell’oscurità e del desiderio».

L’ALTRA WUHAN – «Volevo un film pieno di immagini d’acqua. La storia prevedeva un lago nei pressi di una città e la regione di Wuhan, soprannominata “la città dei cento laghi”, è anche una città gigantesca dove la cultura portuale, unita all’industrializzazione e all’urbanizzazione, offre un’incredibile varietà di paesaggi. Non volevo mostrare una Wuhan “figurativa”, da realismo sociale. Volevo una città del Sud astratta, reinventata».

REALTÀ E FINZIONE «M piace opporre e mescolare stili diversi nel mio cinema. In questo caso volevo che Il lago delle oche selvatiche fosse moderno, non-psicologico. Attori professionisti hanno lavorato a fianco di non-professionisti e abbiamo girato seguendo l’ordine della sceneggiatura, che è il metodo che prediligo. Le riprese sono durate cinque mesi, a ripensarci mi sembra davvero tanto, ma l’80% delle scene sono notturne, girate in estate, quando le notti sono brevi, e molte scene d’azione richiedono una lunga preparazione».

L’OSCURITÀ – «È come se la notte aggiungesse dei filtri all’obiettivo che permettono di ritrovare l’eleganza del bianco e nero. Allo stesso tempo i colori più densi, i chiaro-scuri, le strade deserte creano un’atmosfera onirica: sotto la luce artificiale, il mondo assume una dimensione surreale. L’uso dei flashback invece mi permette di mantenere una certa distanza, come nel caso dei narratori di Brecht, che interrompono il racconto per riportarci alla ragione. Il mio obbiettivo? Rappresentare i valori nobili della filosofia e della letteratura cinese che la corsa allo sviluppo ci ha fatto dimenticare».
- Frances McDormand sceglie la Cina. Il futuro? Si chiama Nomadland
Qui potete vedere il trailer di Il lago delle oche selvatiche:
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