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Tra Sacchi e Buddha | Il Divin Codino e l’arte della felicità secondo Roberto Baggio

Da Caldogno a Pasadena, tra Sacchi, Mazzone e il buddismo: ma com’è il film su Baggio?

Il Divin Codino
Andrea Arcangeli nel ruolo di Roberto Baggio ne Il Divin Codino.

MILANO – Il pallone e il buddismo, Vicenza e il Brasile, i Mondiali e la provincia: dopo la serie su Totti (Speravo de morì prima) e in attesa di quella su Maradona (Sogno benedetto), ecco il film su Roberto Baggio, Il Divin Codino, in arrivo su Netflix dal 26 maggio e diretto da Letizia Lamartire che veste addosso a Andrea Arcangeli (sorprendente per somiglianza) le fattezze di Baggio. Una missione non semplice però, perché – a differenza dei citati Totti e Maradona – Baggio fu sì divino, ma mai divo, anzi. Schivo, silenzioso, piuttosto taciturno e mai polemico, si prese la ribalta sempre e solo con i suoi gesti, dalla scelta del buddismo al rigore sbagliato ai Mondiali del 1994 (che comunque non era decisivo, ricordiamolo), dal dualismo con Sacchi alla rivincita di Brescia di Carletto Mazzone con a fianco Pep Guardiola.

Il Divin Codino
Andrea Arcangeli in una scena de Il Divin Codino.

Una cosa è certa: grazie a Il Divin Codino ci sarà di che discutere per tutta l’estate per calciofili e amanti del pallone, perché Arrigo Sacchi (interpretato da Antonio Zavatteri) ne esce a pezzi, un uomo dogmatico e freddo, un allenatore che considera Baggio solo uno degli undici componenti di una squadra, niente di più, e che ai Mondiali del 1994 vorrebbe anche non fargli giocare la finale. Ne esce maluccio anche Giovanni Trapattoni (Beppe Rosso), che promette a Baggio i Mondiali del 2002 per poi lasciarlo a casa con una telefonata. Si salva – e ci mancherebbe – Mazzone (versione Martufello, grande sorpresa), che però, oltre la parodia, ad un certo punto del film consegna al giocatore una perla da psicanalisi: «Guarda, io de calciatori ne ho visti tanti, ma alla fine sono tutti uguali: nell’allenatore vedono un padre».

Arrigo Sacchi, interpretato da Antonio Zavatteri.

Da padre a padre quindi, dal rigido papà Fiorindo (interpretato magistralmente da quel fuoriclasse che è Antonio Pennacchi) che lo porta a caccia, fino al maestro buddista Daisaku Ikeda, e in mezzo Sacchi, Trapattoni e Mazzone, con Baggio che cade e si rialza in un calvario fisico e emotivo che in pochi avrebbero sopportato. «Qualunque fiore tu sia, quando verrà il tuo tempo, sboccerai. Prima di allora una lunga e fredda notte potrà passare», scrive Ikeda, e allora Il Divin Codino diventa film da leggere a più di livelli, trasformandosi anche in romanzo di formazione, l’esempio di una vita percorsa tra Caldogno, Firenze, Pasadena e Brescia (la Juventus invece non viene mai menzionata), tra possibilità e miracoli, lunghi silenzi e gesti di un fuoriclasse che, anche nella gloria, seppe essere sempre umile.

Arcangeli con Martufello nel ruolo di Carlo Mazzone.

Oltre al racconto della vita di Baggio, Il Divin Codino però – che più che cinema, è un film per la televisione, è bene dirlo – è evidentemente anche (molto) altro, un pezzo di storia d’Italia, tanto che quasi subito è chiaro che il film rifletta anche un’esperienza collettiva. C’eravamo noi davanti al televisore a sperare in quel gol alla Nigeria, noi a piangere per il rigore alle stelle (verso il cuore di Ayrton, chissà), sempre noi a seguirlo come uno di famiglia, a indicarlo come uno di noi, nonostante le maglie cambiate, dal Milan al Bologna, forse unico giocatore italiano a non venir definito dalla sua appartenenza calcistica a un club. Perché? Perché Baggio è di tutti, ed è ancora di tutti perché il talento non ha colore, perché il genio è solo genio, non ha bisogno di spiegazioni, di retropensieri, di fede. Il genio appare evidente e non viene dimenticato.

Antonio Pennacchi, papà Fiorindo Baggio, a caccia.

E anche per questo la bellezza paradossale de Il Divin Codino è che – a un certo punto del film – l’illuminata saggezza del maestro Ikeda si mescola con la filosofia concreta di papà Fiorindo, che a modo suo insegna al suo Roby a vivere, a non aspettarsi troppi complimenti, a tenere la testa alta anche quando il mondo ti volta le spalle, anche se sembra tutto finito, anche se quel rigore lì non ti fa dormire la notte e finisci per litigare con i tassisti del New Jersey: «Se aspetti che ti dicano bravo per ogni roba che fai, non fai tanta strada». E invece alla fine Baggio di strada ne ha fatta tanta e – guardando il film, tra una lacrima e l’altra – dobbiamo ringraziare che, per un breve periodo, la sua strada sia stata anche la nostra.

  • Qui il trailer de Il Divin Codino:

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