ROMA – Sicilia, primi anni Duemila. Dopo alcuni anni in prigione per mafia, Catello, politico di lungo corso, ha perso tutto. Quando i Servizi Segreti gli chiedono aiuto per catturare il figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello coglie l’occasione per rimettersi in gioco. Uomo furbo dalle cento maschere, instancabile illusionista, Catello dà vita a un unico quanto improbabile scambio epistolare con il latitante. Un azzardo che con uno dei criminali più ricercati al mondo comporta un certo rischio. Iddu – L’Ultimo Padrino di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza con protagonisti Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra, Barbora Bobuľová, Giuseppe Tantillo, Fausto Russo Alesi, Betti Pedrazzi, Antonia Truppo e con la partecipazione di Tommaso Ragno. Il film, in concorso all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, arriverà al cinema dal 10 ottobre con 01 Distribution.
Intanto il titolo. Perché Iddu, in siciliano, significa Lui. In questo caso è un Lui che non lascia spazio ad interpretazioni altre: è Matteo Messina Denaro e per una ragione ben precisa stando alle parole di Piazza e Grassadonia: «Nella ricca storia criminale italiana, Matteo Messina Denaro e la sua trentennale latitanza sono un unicum. L’idea iniziale di Iddu è nata dalla lettura dei numerosi pizzini ritrovati nel corso della sua lunga latitanza. Attraverso queste insolite lettere, il boss gestiva la sua vita in clandestinità e i suoi affari. Quanto emerso nel corso degli anni dalle indagini e dalle cronache ci ha offerto la possibilità di scavare nella sua enigmatica personalità e fare luce sul variegato sistema di relazioni che la sua invisibile presenza ha nutrito».
È esattamente il pizzino la chiave di volta narrativa da cui è scaturito il concept del film: «I pizzini trascendevano però la funzione pratica di comunicazione criminale e lasciavano emergere aspetti della sua personalità e la natura del mondo tragico e ridicolo che intorno a lui volteggiava spericolatamente. Traendo libera ispirazione dai pizzini, Iddu racconta il carteggio fra Matteo, principe riluttante di un mondo insensato, e Catello, maschera grottesca di solare amoralità. Con Matteo e Catello ci immergiamo nel vuoto dentro il quale un popolo sguazza come fosse un gran mare baciato dal sole e dagli dei». Ovvero la Sicilia, terra di miti e leggende ma anche di storie come questa, dove i personaggi si muovono nel sonno della ragione rincorrendo chimere. Sogni che finiscono con il trasformarsi in incubi. Incubi spesso tragici e ridicoli.
La Sicilia di Iddu è la zona occidentale, quella del Trapanese – Salemi, Selinunte, Sciacca e Trapani – ma non viene mai realmente identificata da Piazza e Grassadonia. Così come il reale volto della coppia di protagonisti. Quei Matteo e Catello, Catello e Matteo a cui i registi fanno semplicemente indossare una maschera caratteriale archetipica del collaboratore di giustizia e del boss latitante. Certo, poi c’è il mestiere della strabiliante (e inedita) coppia Germano-Servillo che ne va ad affinare i contorni, sfumare gli eccessi, fino a vestirsene e adagiarla sul proprio (e rispettivo) volto d’attore offrendo – entrambi – una performance di eguale caratura artistica seppur di differente intensità: In sottrazione e intima quella di Germano, caotica ed estrosa quella di Servillo. Ed è sull’attesa del loro incontro che ruota l’attenzione di Iddu.
Piazza e Grassadonia ci giocano su per tutto il film tra depistaggi e false piste, sino ad alimentare deliberatamente la curiosità nello spettatore tra voice-over e fantasiose soluzioni di montaggio. In questo il cuore narrativo di Iddu, il pizzino, diventa lo strumento con cui avvicinare le distanze tra i due agenti scenici e al contempo umanizzare sino a rendere familiare l’ingombrante presenza di un Matteo/Germano che pur a fronte di un minutaggio inferiore sulla scena, vede la propria aura caratteriale diffondersi come una macchia d’olio su tutta la narrazione. Ma sono sempre personaggi Matteo e Catello ed è così che li identifichiamo da spettatori. Però sono personaggi nelle cui zone d’ombra caratteriali si celano una e cento storie. Storie di violenza, di fantasmi, di sogni mancati, di dolore profondissimo, di crudeltà nera e di (dis)umanità.
Il che è una curiosa e anomala nota di colore, perché in Iddu, in realtà, c’è anche una forte e radicata anima umana. C’è la tradizione, l’onore, il valore delle radici, e un patriarcato dove in realtà sono spesso le donne – la tormentata Stefania di una mai troppo celebrata Truppo – a fare il lavoro sporco. E padri e figli, forti e deboli, furbi e fantocci. Un film acre, tuttavia, o forse sarebbe meglio dire agrodolce, capace di alternare, con grazia, momenti brillanti, poetici, onirici, eroici e profondamente introspettivi, ad altri cupi, vigliacchi e violenti. Ma soprattutto un film dichiaratamente politico Iddu. Perché è proprio nelle battute finali che Piazza e Grassadonia piazzano la zampata d’autore offrendo un ritratto impietoso dei cosiddetti difensori della legalità che eleva i già raffinati intenti artistici del quarto lungometraggio del duo.
C’è una massima dello scrittore del Settecento britannico Edmund Burke che recita: «La sola cosa necessaria al trionfo del male è che gli uomini buoni non facciano niente». Iddu racconta, si, della latitanza di Matteo (Messina Denaro) e della comunicazione epistolare con Catello (Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano) ma anche di tutti quei uomini di legge e di giustizia che avrebbero potuto fermare la portata distruttiva del capomafia latitante in qualsiasi possibile momento e che invece hanno scelto di restare con le mani in mano perché più conveniente. Un film sul valore della legalità quindi, o sulla sua assenza – e di riflesso – su quanto sarebbe bello poter finalmente vivere in un mondo giusto.
- HOT CORN TV | Qui per il trailer di Iddu:
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