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I Cieli di Alice | Alba Rohrwacher, Chloé Mazlo e un film meraviglioso

Il valore dell’appartenenza rivisto dal talento assoluto di una promessa del cinema

I cieli di Alice. Alba Rohrwacher, Chloé Mazlo, e il valore dell'appartenenza
I cieli di Alice. Alba Rohrwacher, Chloé Mazlo, e il valore dell'appartenenza

MILANO – Anni Cinquanta: Alice (Alba Rohrwacher) vive con i nonni in Svizzera. Un’occasione la porta in Libano, a Beirut, dove inizia a lavorare come ragazza au pair e trova l’amore del visionario astrofisico Joseph (Wajdi Mouawad). I due guardano con fiducia al futuro costruendosi una famiglia. Dopo anni di staticità i cieli di Alice sono finalmente limpidi e felici e sanno di vita, quella vera. L’arrivo della guerra civile lascerà però degli strascichi che metteranno in discussione molte delle scelte compiute. Avrebbe potuto avere un trampolino di lancio incredibile I cieli di Alice di Chloé Mazlo: l’opera prima della regista franco-libanese era infatti stata selezionata alla Semaine de la Critique della 73° edizione del Festival di Cannes, un’edizione simbolica resa semplice statistica da almanacco dalla pandemia, fino a quel momento incontrollabile.

I Cieli di Alice
Alba Rohrwacher nel ruolo di Alice in una scena del film.

Nulla tuttavia che potesse frenare l’avanzata di una gemma filmica di tale portata. Ci ha creduto e puntato I Wonder che ne ha curato la distribuzione, regalando agli spettatori l’opportunità di godere di un’opera imperdibile: «Con cui volevo parlare della guerra nel modo in cui mi è stata raccontata dalla mia famiglia», ha spiegato la regista. Una ratio filmica eccellente quella alla base de I cieli di Alice. Partendo infatti dall’epopea della nonna di cui l’Alice di una magistrale e variopinta Rohrwacher ne ricalca la dimensione caratteriale e le inerzie dell’arco di trasformazione, la Mazlo scatena il potere della memoria di famiglia e della sua magia costruendo una digressione temporale delicata che – nella vivacità di un linguaggio filmico sperimentale nella sua compenetrazione di onirico, reale, e animato – vede sprigionare la gioia della scoperta del mondo e nella riscoperta di sé.

I Cieli di Alice
Wajdi Mouawad e Alba Rohrwacher in un’altra scena del film.

E la giocosità di toni ed intenzioni tra la spensieratezza di Jacques Tati e la delicatezza di Jean-Pierre Jeunet è resa in una poesia di immagini dalla crescita progressiva e spontanea, almeno sino all’inasprirsi del conflitto. Una danza di morte arida e allegorica (ma non per questo edulcorata) in cui l’orrore è vivo, caustico, pungente, e pronto ad abbattersi su ogni cosa. Dal secondo atto in poi ne I cieli di Alice la giocosità lascia il posto alla paura e alla risolutezza, finendo con il dissipare la poesia dalle immagini di vita comune per poi privare i cuori dei protagonisti di sogni e speranze sino a spingerli verso la definitiva rottura.

I cieli di Alice
Chloé Mazlo sul set tra Mouawad e la Rohrwacher prima di una scena.

E alla fine? Il risultato è un’opera prima davvero intelligente, intima, ed ispirata, che nel lanciare il talento brillante di Chloé Mazlo tra le promesse del cinema e confermando ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno) la bravura di Alba Rohrwacher, ricorda però anche allo spettatore il valore delle piccole cose, dei sogni, e dell’appartenenza alla terra. Ma non quella in cui si è nati, quella in cui si è messo radici…

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