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Daniel Brühl: «Misterioso, geniale e cupo: ecco perché mi ha affascinato The Alienist»

L’attore racconta a Hot Corn il suo atipico medico. E parla di regia, recitazione e di Dogs of Berlin…

Daniel Brühl in una scena di The Alienist.

Camaleontico, poliedrico, imprescrutabile: Daniel Brühl è stata senza dubbio la presenza più misteriosa di See What’s Next, la presentazione delle novità Netflix che abbiamo seguito a Roma. D’altronde è lui The Alienist, il dottore della mente che nell’Ottocento, a New York, studiava i comportamenti umani per risalire alle cause delle loro azioni. La serie autoconclusiva di dieci episodi, già su Netflix, lo vede nei panni di Laszlo Kreizler nell’adattamento tv del romanzo di Caleb Carr assieme a Luke Evans (l’illustratore del New York Times John Moore) e Dakota Fanning (Sarah Howard, segretaria del capo della polizia). Insieme formano una task force che indaga su uno dei primi serial killer di New York, responsabile dell’omicidio di molti bambini dediti alla prostituzione in abiti femminili. Proprio grazie alla devozione ai progetti seriali Brühl è stato anche scelto come presentatore della categoria Miglior Serie ai Rakuten TV Awards di Londra, dove Hot Corn lo aveva già incontrato.

Daniel Brühl con Dakota Fanning e Luke Evans in The Alienist.

LASZLO KREIZLER «Cosa mi ha affascinato di più della sceneggiatura di The Alienist? Sicuramente il fatto di interpretare un pioniere della scienza, un luminare della mente in un secolo come l’Ottocento, periodo in cui le sue idee erano non solo atipiche, ma rivoluzionarie. E, come tutti i pionieri, Laszlo Kreizler si ritrova ad affrontare ostacoli, pregiudizi e nemici. Padre di una disciplina appena nata, dovrà fare i conti con una metodologia ancora agli albori oltre che con i propri demoni personali…».

Daniel Brühl nei panni di Laszlo Kreizler in The Alienist.

 

IL LIBRO «L’alienista di Caleb Carr, il libro da cui è tratto The Alienist, mi ha appassionato molto, perché intreccia una storia crime con una lezione di storia. Forse non tutti sanno che prima di diventare Presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosvelt (interpretato da Brian Geraghty di Chicago P.D., vedi foto qui sotto, nda) era commissario della polizia in un dipartimento di New York. L’invenzione letteraria fa i conti con la realtà e con il vero interesse di Roosvelt di scardinare una delle piaghe dell’epoca, e per certi versi ancora attuale, ossia la corruzione.

Brian Geraghty in versione Theodore Roosevelt.

 

DOGS OF BERLIN «L’idea di portare contenuti locali ad un pubblico globale come sta facendo Netflix mi affascina e sono orgoglioso di far parte di questo cambiamento, che fino a qualche tempo fa sarebbe risultato impensabile. Tra le nuove produzioni c’è il titolo tedesco Dogs of Berlin e non vedo l’ora di guardarlo perché ogni volta che parlo con uno dei miei amici in Germania e gli chiedo cosa faccia mi risponde che sta girando questa serie. In pratica sembra che tutti quelli che conosco stiano girando una o l’altra puntata e lo trovo meraviglioso».

Un’immagine della serie tedesca Dogs of Berlin.

 

IL METODO «Credo che una delle doti più importanti per un attore sia la capacità di comunicare. È quello che ti rende capace di entrare sotto la pelle del personaggio e trovare un compromesso tra la tua sensibilità e la sua, tra la realtà e la sceneggiatura. In questo modo ti ritrovi in una zona franca, in un posto sicuro in cui puoi sperimentare e migliorare».

Con Rosamunde Pike nell’inedito 7 Days in Entebbe.

 

LA REGIA «Tutti gli attori hanno il desiderio e l’ambizione di sperimentare una regia, io spero tanto di trovare qualcosa di nuovo ed originale. Non ho preferenze di genere, li amo tutti, dal dramma alla commedia, perché credo ciascuno abbia una sua dignità. Mettersi alla prova dietro la macchina da presa toglie agli interpreti un alibi piuttosto sfruttato: se un film va male o non piace si dice che è colpa di chi l’ha diretto. In quel caso non sarebbe possibile».

Con Ron Howard sul set di Rush. Era il 2013.

 

 

 

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