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Da Dubai a Berlino: il cinema parla sempre più arabo

Intervista con Shivani Pandya, direttrice del Dubai Film Festival: «Le cose stanno cambiando…»

Dubai: Jake Gyllenhaal con Shivani Pandya e Abdulhamid Juma, vertici del Dubai International Film Festival.

BERLINO – Il cinema parla (sempre più) arabo. La conferma arriva dalla Berlinale, cornice della prima edizione del premio Arab Cinema Personality of The Year Award, creato da una rivista come Hollywood Reporter e dall’Arab Cinema Center, piattaforma che promuove l’industria araba nel mondo. Il riconoscimento è stato conferito, non a caso, al presidente e al direttore artistico del DIFF, ovvero il Dubai International Film Festival: Abdulhamid Juma e Masoud Amralla Al Ali, come attestato dello sforzo culturale dell’evento. Il DIFF, infatti, la più grande kermesse cinematografica del Medio Oriente, taglierà a dicembre il traguardo della quindicesima edizione, portabandiera dell’audiovisivo del mondo arabo nel mondo.

Shivani Pandya con Samuel L.Jackson, sua moglie LaTanya Richardson e Abdulhamid Juma al Dubai International Film Festival.

«Un simile attestato di stima», confida a Hot Corn la direttrice Shivani Pandya qui a Berlino, «riconosce il grande sforzo che il Festival di Dubai ha sempre fatto per promuovere la cultura della regione attraverso il cinema. Basti pensare che quando è nato, quindici anni fa, la cinematografia araba non aveva una grande vetrina sul mondo e anche la qualità ne risentiva. Oggi i film prodotti anche con il supporto del DIFF concorrono nei migliori festival del mondo, conquistano nomination a Golden Globe e Oscar. A piccoli passi abbiamo sviluppato oltre trecento progetti mettendo in contatto i produttori con gli artisti e sviluppando il talento locale».

Shivani Pandya, Managing Director del DIFF.

L’evento, nel cuore degli Emirati Arabi, ha gradualmente attirato anche l’attenzione di Hollywood e del suo star system, con numerosi divi che sempre più spesso tornano sul palco del DIFF: «Da Cate Blanchett a Morgan Freeman fino a Colin Firth e Samuel L.Jackson», prosegue Pandya,«sono molti gli artisti che hanno deciso di ritornare a supportare il nostro lavoro perché apprezzano lo sforzo di dar voce ai giovani cineasti». E, a fianco dell’evento mondano, alla vigilia dell’apertura del primo cinema in Arabia Saudita sembra evidente anche il forte impatto culturale che la manifestazione ha apportato alla regione.

L’evento Star Wars allo scorso Dubai International Film Festival.

«Non vogliamo prenderci meriti non nostri», precisa Pandya, «ma va riconosciuta la spinta al cambiamento che il festival ha portato. Basti pensare che i vincitori dei premi più prestigiosi dell’anno scorso sono donne e che diciannove di loro hanno presentato i loro film. E il festival incoraggia le artiste a far sentire la propria voce, a raccontarsi sfidando i pregiudizi. Basta guardare le loro storie per vedere che quello che ci unisce è più forte di quello che ci divide: una finestra sul mondo arabo aiuta a comprendere tradizioni e credenze. Magari finora considerate aliene».

Haifaa al-Mansour sul set del suo La bicicletta verde.

Un esempio su tutti? Haifaa al-Mansour, prima regista donna in Arabia Saudita, che due anni fa al DIFF ha presentato il toccante La bicicletta verde – che peraltro ha contribuito ad un dibattito culturale sulla possibilità per le donne di guidare – per poi partire per un lungo viaggio all’estero per girare il suo film in lingua inglese. Pochi mesi fa è tornata a Dubai per presentare in anteprima il suo Mary Shelley – storia d’amore tra Mary Shelley ed il poeta Percy Bysshe Shelley – con un cast che comprendeva divi come Ella Fanning, Douglas Booth e Joanne Froggatt di Downton Abbey. Il grande schermo, insomma, apre le frontiere del mondo arabo. E va anche oltre.

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