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Ciao Bambino | Edgardo Pistone, il cuore di Napoli e una visione folgorante

Ma cosa succede se Pasolini incontra Sorrentino e Cuarón? Novanta minuti di puro cinema

Marco Adamo con Luciano Pistone in una scena di Ciao Bambino.

ROMA – In mezzo all’offerta enorme e decisamente eccessiva dei festival, ogni tanto arriva un film che sorprende e spiazza, ricordandoci (anche) il motivo per cui ancora facciamo questo mestiere. Ciao Bambino di Edgardo Pistone è la visione che non ti aspetti, il titolo che ti spiazza, chiuso dentro un bianco e nero folgorante che non lascia scampo. Un’opera prima che, scena dopo scena, secondo dopo secondo, riesce a coniugare estetica e contenuto, cuore e forma, quasi come se – in un miracoloso corto circuito – il primo cinema di Pier Paolo Pasolini avesse incontrato quello di Paolo Sorrentino. Un’esagerazione? No, perché nei novanta minuti di film si viene portati dentro la vita di Attilio e mai – nemmeno per un momento – mettiamo in dubbio che Attilio esista davvero da qualche parte a Rione Traiano, perso tra strade e guai. Invece è interpretato da Marco Adamo, pura e meravigliosa faccia di cinema, un incrocio tra Dybala e un giovane Al Pacino.

Ciao Bambino
La macchina, i palazzi e Attilio: una scena di Ciao Bambino.

E poi? E poi c’è il bianco e nero firmato da Rosario Cammarota, il cui sguardo sta da qualche parte tra l’occhio di Tonino Delli Colli su Accattone di Pasolini e quello di Alfonso Cuarón in Roma, sempre attento a non eccedere con l’estetica, ma anche sempre impegnato a far sì che nessuna scena, nessuna inquadratura, sia banale. Novanta minuti di puro cinema, pieno di personaggi reali e corposi, zeppo di gente come lo strozzino Vittorio o il balordo Martinelli, ma anche di personaggi puri come Attilio e Anastasia, cuori buttati dentro l’immondizia che pure continuano a battere, inesorabilmente, e che si rifiutano di morire. La bravura di Pistone sta nel non perdere mai di vista la storia, di stare sempre addosso alle persone che cerca di raccontare, come gli amici di Attilio, una ventata di leggerezza in un contesto sociale pesantissimo.

Ciao Bambino
Anastasia Kaletchuk e Marco Adamo in un momento di Ciao Bambino.

E poi c’è il segmento sentimentale di Attilio e Anastasia, con il loro amore fatto di silenzi e incomprensioni, di dolcezza e di occasioni perdute, figlio evidente – anche visivamente, sempre leggermente fuori fuoco – di quello tra Travis e Jane in Paris, Texas di Wim Wenders con i capelli biondi di Anastasia Kaletchuk che sembrano proprio quelli di Nastassja Kinski mentre lo sguardo innocente di Adamo pare lo smarrimento di Harry Dean Stanton. È tutto necessario in Ciao Bambino, un racconto di formazione che se sembra una storia già vista e rivista – quasi un Pretty Woman a Rione Traiano – è invece pieno di sfumature e apparizioni, dai fuochi d’artificio in cielo alla luce salvifica di Ischia che sembra un nuovo inizio e forse lo sarà, perlomeno per qualcuno.

Il panino in strada: un frammento della fotografia di Rosario Cammarota.

Oltre lo sguardo, ecco i rumori, i colpi, la musica, i tappeti sonori di K-Conjog alternati a tre canzoni precise: Love is in the air nella versione di Stefania Rotolo, Piccolo Piccolo di Robertino (che fa un effetto straniante) e Gallowdance dei Lebanon Hanover nell’appartamento occupato dalle prostitute. Apre e chiude una macchina fotografica, un oggetto che pare inutile e invece non lo sarà, raccordo perfetto di una vicenda senza misteri o intrighi da risolvere, ma che si avvolge attorno alle trame di due cuori, quelli di Attilio e Anastasia, che per un momento – senza nemmeno saperlo – si sono (ri)scoperti felici. Come due bambini. Un film da vedere e da amare senza mezze misure.

  • VIDEO | Qui una clip dell’inizio di Ciao Bambino:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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