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Barber Ring, l’incredibile favola di Manuel Ernesti e l’importanza della verità

Dopo Tizzo, Alessio Di Cosimo racconta un altro pugile. Con un documentario potentissimo

Manuel Ernesti in una scena del documentario Barber Ring.

MILANO – La verità. Un pugno dopo l’altro. Senza sconti. Senza bugie. Minuto dopo minuto. Immagine dopo immagine. Barber Ring – documentario diretto da Alessio Di Cosimo e presentato ora al Biografilm Festival di Bologna – non è solo un viaggio dentro la storia di un uomo – quella di Manuel Ernesti, pugile diventato barbiere – ma è soprattutto un viaggio dentro la verità. «Non c’è pugno che faccia più male dello schiaffo di un genitore», dice ad un certo punto Ernesti guardando fisso in camera, guardando fisso dentro il suo passato, un passato a cui è riuscito a sopravvivere e che ora è diventato una favola di riscatto, potente, asciutta, senza mai retorica. In quest’intervista, Di Cosimo racconta a Hot Corn il viaggio compiuto per arrivare fino a Barber Ring.

Alessio Di Cosimo in un momento sul set.

L’INIZIO – «Partiamo dall’inizio: ho incontrato Manuel Ernesti circa un paio d’anni fa. Ricordavo il suo nome per averlo letto nelle cronache sportive e anche perché nel 2016 avevo già diretto un altro documentario sul pugilato (Tizzo, lo trovate in streaming su CHILI qui, nda). Abbiamo parlato un po’ e lui ha cominciato a raccontarmi la sua vita, a partire dall’infanzia difficile, dalla casa occupata dai genitori a Ostia, poi dalla violenza di strada di Acilia, dei pugni dati a tredici anni solo per sfogare la rabbia. E poi il pugilato, grazie a cui inizia a gestire la rabbia. A capire come incanalare tutta quella frustrazione».

Manuel Ernesti in una scena di Barber Ring.

IL DOCUMENTARIO – «Mentre parlavamo, ho detto a Manuel che la sua storia sarebbe stata un grande film. Poteva scegliere il crimine e invece ha scelto il pugilato. Poteva scegliere di rubare invece per costruirsi un futuro ha scelto di imparare il mestiere di barbiere. Sì è salvato da solo. Con le stesse mani che davano cazzotti. Spesso, nei film e nelle serie, siamo abituati a vedere il fascino del male, qui invece ecco la storia di un uomo che, dopo essersi salvato, ha cominciato ad aiutare gli altri, ragazzi di quartieri difficili come Laurentino 38, Ostia, Dragona. Perché? “Perché quando avevo bisogno di aiuto io a quindici anni non c’era nessuno. So cosa significa”. Così mi ha risposto. E aveva ragione».

 Barber Ring
Ernesti in un altro momento del documentario. 

LA COSA DIFFICILE – «La cosa più difficile? Barber Ring nella mia testa doveva essere una serie. Avevo girato una puntata pilota perché volevo fare una serie di puntate, ognuna centrata su un personaggio diverso. C’era anche una ragazza fortissima che raccontava il pregiudizio e spiegava di quanto Manuel fosse stato anche inclusivo. Poi però non sono riuscito a trovare i finanziamenti e mi sono fermato. E ho pensato di farne un documentario, di non lasciare chiusa in un cassetto una storia tanto straordinaria che chiedeva solo di essere raccontata».

La libertà: Ernesti davanti al mare di Acilia.

I RIFERIMENTI – «Non ho riferimenti. In realtà io non mi sento nemmeno un documentarista. Faccio documentari, ma è un caso. Per me il cinema dev’essere sempre una finestra aperta sul mondo. Deve raccontare storie e deve farlo in maniera vera. Credibile. Potente. Quando scrivo i dialoghi cerco la verità. Il neorealismo è senza dubbio un riferimento, ma io amo anche Leone, Troisi, il lavoro che ha fatto Sollima su Romanzo criminale e Gomorra. Film sul pugilato? Dico Rocky, anche se a livello tecnico non era veritiero, ma le emozioni erano reali. E poi Butterfly, il film di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffmany su Irma Testa…».

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  • VIDEO | Qui una clip di Barber Ring:

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