in

Asia Argento: «Io, Harvey Weinstein e quel perdono che non arriverà mai»

L’attrice al Parlamento di Bruxelles come relatrice di un convegno attacca. E precisa

BRUXELLES – Solo Asia Argento avrebbe potuto scegliere un contesto istituzionale per mandare un messaggio rivoluzionario. Lo ha fatto al Parlamento Europeo di Bruxelles come relatrice del convegno Empowering Women and Girls in media and ICT: key for the future, organizzato in occasione della Giornata Internazionale della Donna. Ha fatto nomi e cognomi invece di ricorrere al politichese e ha raccontato gli abusi subiti dal produttore Harvey Weinstein, senza tralasciare le conseguenze per sé e per la famiglia, compresi i figli Anna Lou e Nicola (16 e 9 anni) e il padre regista, Dario, ignaro della vicenda fino a pochi giorni prima dell’intervista a Ronan Farrow, giornalista del New Yorker.

Asia Argento a Bruxelles al seminario Empowering Women and Girls in Media and ITC

GLI ESORDI «Ho iniziato a recitare a 9 anni e ho scoperto molto presto i giochi di potere e la gerarchia del cinema, con in cima i produttori e le donne all’ultimo gradino, sottomesse dal genere maschile, agenti compresi. Mi hanno detto come muovermi e vestirmi, sul set il mio lavoro era fare quello che mi veniva ordinato. Ero una ragazzina timida e un po’ strana, a disagio col suo corpo, non immaginavo potesse essere visto come oggetto sessuale e sono passata da maschiaccio a puttana. Ho accettato i ruoli che mi venivano assegnati, le scene di nudo, i servizi fotografici in lingerie e abiti sexy».

L’EPISODIO «Ero al Festival di Cannes, nel 1997, per presentare il mio primo film in inglese, B.Monkey, con cui mi dicevano che sarei diventato un sex symbol mondiale. Quando papà ha saputo che avevo vinto il provino era così orgoglioso di me, mi disse: “Vincerai l’Oscar”. Non sapevo invece che quel momento mi avrebbe tolto tutto. Mi avevano detto che c’era una festa in camera di Weinstein, invece il party era privato, con due sole persone, io e il mio stupratore. E i suoi avvocati mi hanno detto che la pratica del “casting couch” (favori sessuali in cambio di un ruolo, nda) non l’aveva certo inventata lui.

LE CONSEGUENZE «Per tutta la vita adulta sono stata in terapia, avevo paura anche ad uscire di casa, Weinstein ha fatto seguire le vittime con investigatori privati in modo da avere materiale con cui ricattarle e rovinare loro la reputazione. Ho iniziato a soffrire di disturbo post-traumatico da stress e depressione, volevo continuare a punirmi, ma quella ferita non si è mai rimarginata perché non ho lasciato venisse a galla. C’era un elefante nella stanza ma fingevo di non vederlo, ignorarlo era l’unico modo che mi permettesse di sopravvivere. Mi sono chiusa nel mio guscio pur non volendo sentirmi una vittima».

HARVEY WEINSTEIN «Si trova in una Spa in Arizona, spacciata per una clinica che cura i dipendenti dal sesso, ma lui è molto di più, è un sociopatico incapace di provare empatia per chiunque. E, come i serial killer, non può essere curato. Mi chiedono se voglia perdonarlo: col cavolo. Io voglio giustizia qui sulla terra, non una consolazione spirituale o religiosa. Che se la veda lui con il suo Dio, il mio modo di guarire non è il perdono, ma risiede nella forza che mi danno le altre donne come me. Mi piace pensare però che il karma funzioni e tutti i mostri come lui prima o poi la pagheranno».

IL DISSENSO «Nessun’attrice italiana mi ha mai scritto neppure un messaggio né mi ha fatto una telefonata per cinque mesi, non mi hanno citato in nessuna delle loro interviste e poi sono arrivate da me con il manifesto già redatto, ma senza nominare me, Miriana Trevisan o nessun’altra delle persone coinvolte. Non mi sento di far parte di questo gruppo, è troppo poco e troppo tardi, mi hanno lasciata a dissanguarmi in trincea e lo hanno fatto per lavarsi la coscienza per il loro silenzio. Io, intanto, non ho avuto neppure avuto il tempo di pensare a cosa mi avrebbe potuto fare Weinstein dopo le accuse. È successo tutto in una settimana, non c’era tempo per la paura, ho fatto solo in tempo a dirlo ai miei figli e a mio padre, pur sapendo che li avrei feriti».

TIME’S UP «Per me è troppo hollywoodiano e non tutte le vittime ne fanno parte. Né mi importano le iniziative per gli Oscar. Lo show business ora parla dell’argomento perché costretto a farlo ma a me non interessa, anche se apprezzo quello che si sta facendo per celebrare le donne. Ho smesso di recitare nel 2013 e da allora mi dedico alla regia, mi sembra importante che nel mondo dello spettacolo il punto di vista femminile venga mostrato con una presenza sempre maggiore, con registe, sceneggiatrici, direttrici della fotografia e tutti gli altri ruoli…».

Lascia un Commento

Past Midnight: Keanu Reeves nel nuovo film Netflix?

Green Lantern Corps: Le ultime novità sul cinecomic DC