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Army of the Dead | Gli zombie e un giocattolo che funziona (ma solo a metà)

Il film di Zack Snyder ci porta in una Las Vegas infestata dai non-morti. Su Netflix dal 21 maggio

Army of the Dead
Army of the Dead

ROMA – Ancora una volta, Zack Snyder ha fatto le cose – letteralmente – in grande. L’idea la cullava da un po’: dopo aver girato il remake di L’Alba dei Morti Viventi nel lontano 2004 ha continuato a coltivare il desiderio di riabbracciare (si fa per dire) gli zombie in una storia tutta sua. E che Army of the Dead – su Netflix dal 21 maggio – sia un lungo(lungo)metraggio tipico di Snyder lo capiamo immediatamente: la cover (davvero bella) di Viva Las Vegas! cantata da Richard Cheese e Allison Crowe accompagna l’infinita sequenza iniziale, in cui assistiamo al completo tracollo della Sin City sbranata prima dal vizio e poi dai famelici quanto stupidi non-morti. E qui Snyder mette le cose in chiaro: in Army of the Dead ci si diverte, ma tenendo sempre ben in mente gli spunti che arrivano dall’assurda società in cui viviamo.

Army of the Dead, la squadra al completo
Army of the Dead, la squadra al completo

Las Vegas è il trionfo del consumismo, è divorata dalla vacuità e dall’eccesso, nonché è uno degli agglomerati USA con il tasso più alto di immigrati ispanici. Cosa significa, quindi, che Army of the Dead paragona i messicani agli zombie? Sì, ma solo agli occhi di quell’America che li vorrebbe estirpare e di quell’America che ha provato a costruire un folle muro divisorio per tenerli lontani. La critica di Snyder c’è e si sente a più riprese, nonostante sia nascosta da una fittissima coltre di cinema pop, che fa della spettacolarità il cardine principale: in Army of the Dead si cita Il Pianeta della Scimmie, ci si rifà a 1997: Fuga da New York e, intanto, si strizza l’occhio ai videogiochi, che sono ormai tra le fonti di ispirazione primarie per i filmmakers di genere. Synder compreso.

ARMY OF THE DEAD
Dave Bautista è Scott Ward

Ma cosa è successo? Perché ci sono i non-morti al Bellagio? Per un fortuito incidente, uno zombie fugge da un convoglio blindato e finisce per infettare (ehm…) l’intera Las Vegas. I croupier, i sosia di Elvis, le stripper, gli imbonitori, i maghi e, addirittura, le tigri. La capitale del Nevada è ormai una città di zombie, circondata dal governo con un muro (appunto) di container metallici. Nessuno entra, nessuno esce. Anche perché è ormai ufficiale: una testata nucleare è pronta a fare piazza pulita, distruggendo definitivamente l’abominio. Ma siamo pur sempre a Las Vegas, e nei sotterranei dei casinò è nascosta una fortuna. Ecco arrivare nel gioco un gruppo di mercenari, incaricati di (ri)entrare a Las Vegas, fare breccia nel caveau e fuggire col malloppo. A capo della squadra, Scott Ward (interpretato da un sempre più bravo Dave Bautista), che porta ancora addosso le ferite della guerra (persa) contro gli zombie.

Sul set di Army of the Dead
Sul set di Army of the Dead

Insomma, l’avrete capito, Army of the Dead è un popcorn movie, un giocattolo scanzonato che vuole essere serioso, un’epopea action e orrorifica dove gli zombie diventando intelligenti e, forse, capaci di provare emozioni. L’immaginario c’è tutto, e Snyder nel suo mastodontico atto d’amore verso John Carpenter e George Romero ha le idee chiare su come portare avanti la storia e i personaggi (ce ne sono molti, e oltre allo Scott Ward di Bautista citiamo la pilota Marianne con il volto di Tig Notaro) indirizzandola verso un finale che, però, si perde qua e là dei pezzi importanti di sceneggiatura. Allora Army of the Dead diventa l’emblema del cinema concettualizzato da Snyder: partire benissimo ma finisce troppo frettolosamente, nonostante siano passate due ore e mezza dall’inizio del film. Anche se alla fine c’è un altro dettaglio musicale che non passa inosservato: ad un certo punto Dolores O’Riordan intona Zombie. Mai traccia fu più adatta, anche se quel brano aveva ben altri significati.

Qui il trailer del film:

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