ROMA – C’è un silenzio che fa rumore. Specie quando si tratta di grandi film. Ed è quello che accompagna Robert Neville, solo per le strade di una New York abbandonata, con un fucile sulle spalle e il fiato del suo cane a ricordargli che non è ancora finita. Uscito nel 2007, diretto da Francis Lawrence e ispirato all’omonimo romanzo di Richard Matheson, Io sono leggenda è uno di quei film che – a distanza di anni – meritano di essere rivisti. E non solo per l’incredibile messinscena di Will Smith, ma per il modo in cui riesce a raccontare la sopravvivenza, la solitudine, la paura e l’ostinazione a restare umani quando tutto sembra perduto.
In un mondo devastato da un virus creato in laboratorio – ironia inquietante, oggi più che mai – Neville è l’ultimo uomo rimasto a Manhattan. Ricercatore, soldato e vedovo, trascorre le giornate tra esperimenti nel suo laboratorio sotterraneo e cacce al supermercato insieme a Sam, il pastore tedesco che diventa non solo alleato, ma àncora emotiva. Intorno, il nulla. O quasi: creature mutate si muovono nell’ombra, ibride tra vampiri e zombie, in una tensione costante che si scioglie solo nei rari momenti di normalità artificiale (i manichini nei negozi, i dialoghi immaginari, la visione di Shrek in DVD).
Ma Io sono leggenda non è solo un survival movie. È un film sull’identità, sull’equilibrio fragile tra scienza e fede, tra razionalità e speranza. E nel rivederlo oggi, dopo aver vissuto in prima persona una pandemia, fa ancora più male – e ancora più bene. Perché ci ricorda quanto sia facile perdere tutto. E quanto sia fondamentale, anche nei momenti più bui, aggrapparsi a qualcosa: una canzone, un rituale, un ricordo.
Io sono leggenda è un racconto che parla di quello che resta quando si perde tutto, della tenacia nel continuare a credere, dei legami che resistono anche nel vuoto. Non cerca risposte facili, non promette redenzione, ma ci accompagna in uno spazio di solitudine piena, dove l’essere umano si misura con i propri limiti, i propri errori, e il desiderio ostinato di trovare ancora un senso.
Rivederlo oggi non è solo attualità: è una lezione silenziosa sulla resilienza. Una storia che ci chiede: chi siamo davvero quando non c’è più nessuno a guardarci?
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