Damiano Panattoni ROMA – Titti, Silvestro, Lola Bunny, Bugs Bunny e LeBron James: il quintetto base è più o meno lo stesso del ’96, anche se al posto di sua altezza Air Jordan c’è un’altra icona dell’NBA. La sfida è di quelle impossibili: battere un algoritmo spietato su un parquet in cui non ci sono regole. A venticinque anni da uno dei cult più cult della storia del cinema, rivedere in campo la Tune Squad fa un certo effetto e, dietro diverse e scontate goffaggini, smuove i ricordi più belli di quando certi film pop coglievano alla perfezione il senso unico dell’intrattenimento. Sarà stato difficile per Malcolm D. Lee atterrare con Space Jam: New Legends (Space Jam: A New Legacy, in originale) nel mondo dei Looney Tunes senza stravolgere le caratteristiche dei personaggi da legare alla figura gigantesca di un atleta (e di un marchio) come James.
E allora Space Jam: New Legends non ci prova nemmeno ad essere migliore del primo capitolo e, saggiamente, gli basta attualizzare diverse tematiche centrando il punto con una semplicità rivolta ad una platea che viaggia tra i zero e novantanove anni, un po’ come i numeri di maglia autorizzati nella National Basketball Association degli Stati Uniti. La storia, dunque, fa solo da pretesto a quella che sarà poi la partita protagonista del film, in cui James finisce direttamente nel Server-Verso della Warner Bros., dominato dal cattivone di turno, Al-G Rhythm, interpretato da Don Cheadle. Nella rete aziendale, tra i franchise della Major (ci sono tutti, da Matrix a Il Trono di Spade), c’è finito anche suo figlio Dom (Cedric Joe) che allontana il basket per concentrarsi sul suo sogno: sviluppare un videogioco in cui il basket stesso è giocato sulle skill, sui potenziamenti, sulle trick.
Per riaverlo indietro LeBron deve giocare una partita all’ultimo punto contro altre stelle dell’NBA potenziate e ridisegnate. E dunque la folle soluzione è rimettere in piedi la banda e, soprattutto, amalgamarsi con dei compagni di squadra decisamente particolari. Space Jam: New Legends in questo senso funziona e, naturalmente, diverte: Bugs, Taz, Duffy, Willy Il Coyote, Beep Beep, Porky Pig e gli altri sono più pazzi degli Harlem Globetrotters e, tra schiacciate ed esplosioni, continuano ad essere delle irresistibili leggende popolari, irrinunciabili anche nell’era degli algoritmi e delle realtà virtuali. Si perché se anche qui tornano i temi come l’unione, la famiglia e la condivisione, Space Jam 2 spiega bene quanto oggi lo sport (ma anche la vita in generale) sia profondamente cambiata e assoggettata a fattori che con lo sport (e con la vita…) c’entrano ben poco.
In questo caso la figura del piccolo Dom è emblematica e rappresenta quella generazione che si è approcciata allo sport grazie ai videogiochi in cui si può dare totale sfogo alla libertà: canestri volanti, outfit accattivanti, punti bonus e via discorrendo. Diametralmente opposto alla tradizione del sudore e dello spogliatoio ma, non per questo, secondaria. È sempre Dom infatti a spiegare a papà LeBron quanto sia importante differenziarsi, trovare nuove strade, prendere decisioni lontane dalla logica comune. Questo, chissà, vuol dire crescere e maturare. Quindi Space Jam: New Legends è anche questo: da una parte un figlio e dall’altra un papà, che si capiranno un po’ meglio grazie a quella squadra di spassosi cartoni animati.
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