ROMA – Ci sono storie che guardano alle stelle per immaginare mondi nuovi. E poi ci sono quelle che, pur viaggiando lontano, trovano il modo di raccontare ciò che abbiamo dentro. Elio, il 29° lungometraggio Pixar diretto da Domee Shi (Red) e Madeline Sharafian (La tana), appartiene a questa seconda categoria: prende il volo tra galassie e creature aliene, ma lo fa per parlarci di solitudine, identità, famiglia. E di quel bisogno profondissimo, umano e universale di essere visti, ascoltati e accolti.

Il protagonista è Elio Solís, undici anni, occhi pieni di cielo e testa piena di domande. Vive con sua zia Olga, maggiore dell’Air Force, dopo la perdita dei genitori. È un bambino che si sente fuori posto, e forse lo è davvero: troppo creativo, troppo sensibile, troppo diverso per un mondo che non gli lascia spazio. Quando un malinteso lo teletrasporta in un congresso intergalattico e viene scambiato per l’ambasciatore terrestre, Elio non si spaventa. Si illumina. Come se, finalmente, l’universo gli stesse rispondendo. Quella che segue è un’avventura che diverte e sorprende, certo, ma è anche un viaggio emotivo profondo. Elio non è solo un film per bambini: è un film per chi ha avuto paura di non essere abbastanza. Per chi si è sentito solo in una stanza piena di gente. Per chi aspetta, anche in silenzio, qualcuno che dica: “Ti vedo. Ti sento. Ci sei”.

La regia a quattro mani di Shi e Sharafian è precisa e delicata. Costruisce due universi in netto contrasto – l’austerità geometrica della base militare e il brulicare colorato del Comuniverso – per restituire lo sguardo del protagonista: quello di chi si sente alieno a casa, ma trova nello spazio la possibilità di appartenere a qualcosa. Eppure, proprio quando tutto sembra portarlo via, Elio capisce che la risposta non è altrove, ma qui. Nelle persone, nei legami, in chi sceglie di restare.

La scena più commovente – e no, non la spoilereremo – racchiude tutta l’anima del film: Elio è in pericolo e da tutto il mondo, attraverso le onde radio, qualcuno risponde. Si crea un’armonia invisibile, un coro che dice: non sei solo. È un momento che disarma, che emoziona, che racconta il senso più profondo di questo film: la connessione umana, la bellezza di sentirsi parte, anche quando ci si sente lontani anni luce. È il momento in cui il film smette di parlare di galassie e comincia a parlare di casa. Di cosa significhi essere ascoltati, riconosciuti, abbracciati. Di come, anche nel caos più grande, possa nascere una rete invisibile di empatia. E forse è proprio questo che ci tiene al sicuro: sapere che, da qualche parte, c’è qualcuno sintonizzato sulla nostra stessa frequenza.

Tecnicamente, Elio è una meraviglia. Le animazioni sono curate, profonde, capaci di alternare rigore e fantasia. Gli alieni del Comuniverso sono creature poetiche, oniriche, lontane da ogni riferimento terrestre, come visioni di un sogno. La colonna sonora, firmata da Rob Simonsen, non accompagna semplicemente: anticipa, sottolinea, espande. È un suono che sa essere familiare e alieno, come la storia che racconta. Ma è nella relazione tra Elio e Olga che il film tocca le corde più autentiche. Due solitudini che, a poco a poco, trovano un linguaggio comune e imparano a parlarsi. Due vite che si trovano a metà strada per diventare famiglia. E forse è questo che Elio ci vuole dire, con tenerezza e semplicità: che sotto ogni corazza, anche quella più scintillante, c’è qualcuno che ha solo bisogno di essere visto.

In questo mondo spesso rumoroso e diviso, Elio è un piccolo atto di gentilezza. Non urla, non cerca di stupire a ogni costo. Ti prende per mano, ti guarda negli occhi e ti ricorda che, anche quando ti senti perso, c’è sempre una frequenza a cui puoi tornare. È lì, tra le persone che ami. Tra le stelle, sì. Ma soprattutto qui, sulla Terra.
VIDEO | Guarda qui la nostra intervista alle registe e alla produttrice di Elio:
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