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Vanessa Redgrave: «Il mio Sea Sorrow, nato dalla volontà di aiutare i rifugiati e i migranti»

Un documentario sulla crisi umanitaria per un’attrice da sempre attiva per difendere i diritti umani

Vanessa Redgrave in un momento di Sea Sorrow.

Un’urgenza che non poteva ignorare. E così, a ottant’anni, Vanessa Redgrave si è lanciata al debutto dietro la macchina da presa per il documentario Sea Sorrow – Il dolore del mare, presentato l’anno scorso al Festival di Cannes e ora in sala. L’attrice inglese non ama i giri di parole e detesta delegare, quindi ha deciso di scendere in campo mettendoci la faccia. Il racconto, che segue le drammatiche vicende dei rifugiati in Europa, arriva ora nei cinema con tutta la sua forza. Le immagini dei campi profughi e degli sbarchi si alternando a interviste con esperti e a filmati di repertorio in cui l’attrice, fin dalla sua giovinezza, visitava i centri accoglienza per amplificare la portata del lavoro delle associazioni umanitarie.

Vanessa Redgrave a una protesta anti-missilistica. Era il 2016.

DEBUTTO DI FUOCO «Fin da quando avevo 4 anni ho sempre sentito il desiderio di un palcoscenico, all’inizio mi esibivo in famiglia e davanti a 12 persone. A 6 anni ho recitato in una commedia scritta da un amico e ho coinvolto anche mio fratello. Quell’esperienza mi rimarrà sempre nella memoria perché il mio ruolo consisteva nell’elencare venti oggetti che il mio personaggio, una naufraga, portava con sé. Al quinto nome sono andata in panico e non ho più proferito parola. Insomma, un battesimo di fuoco sulla scena, ma da allora ho comunque continuato ad usare la mia voce a favore di chi soffre per la guerra».

NON CHIAMATELI MIGRANTI «Sea Sorrow nasce dall’esigenza di schierarsi dalla parte di chi è dimenticato. Non possiamo aspettare oltre: queste persone stanno morendo. E non mi piace che li si chiami migranti perché mi sembra un sinonimo di malati. I media amano questa parola ma non lo trovo giusto perché implica che chi muore in mare lo faccia per cercare lavoro, per coltivare l’uva. No, questa gente scappa dalla guerra e dalla disperazione e ha diritto alla vita come tutti noi».

Una delle scene tratte dal documentario.

LA FILOSOFIA «Spesso mi chiedono se sia ottimista, se viva di speranza, ma cosa vuol dire? È solo una parola che non ha senso se non la si associa alle opere. Ciascuno di noi è altro per il prossimo e deve tendere la mano a chi ha accanto e forse si trova nelle difficoltà di andare avanti. Il mondo è di tutti e lo dobbiamo vivere insieme. I profughi non sono diversi da noi e dobbiamo smetterla con queste meschine etichette frutto di una politica spesso miope. Vanno registrati ed aiutati a ricongiungersi con i loro cari attraverso un passaggio sicuro attraverso i vari Paesi europei.»

LA REGIA «Non credo di mettermi di nuovo dietro la macchina da presa. Sea Sorrow è come il mio testamento, un film che continuerà ad essere visto per spronare gli animi. Non ho più la resistenza fisica di un tempo e infatti parlo molto lentamente perché il mio cuore è affaticato, ma sento dentro il dovere di fare la mia parte. E quindi, nonostante gli sforzi e grazie a molti aiuti, questo progetto, prodotto da mio figlio Carlo Nero, ha visto la luce e attraverso i riflettori dei festival ha attirato l’attenzione del pubblico che vuole conoscere la verità e chiede una politica per i rifugiati».

Vanessa Redgrave con Franco Nero in Letters To Juliet.

L’INCONTRO CON FRANCO NERO «Ci siamo conosciuti sul set di Un tranquillo posto in campagna e non avrei mai potuto prendere parte a quel film se i miei genitori da piccola non mi avessero mandata a scuola per imparare le lingue. Ho coltivato il francese e l’italiano e questa capacità mi ha permesso di entrare in contatto con il cinema del Belpaese. Il regista Elio Petri aveva una sensibilità straordinaria e quel film mi resterà sempre nel cuore.»

Vanessa Redgrave nel ruolo di Jane in Blow Up di Antonioni

BLOW UP «Prima di incontrare Antonioni lo consideravo un dio del cinema e non potevo credere che mi avesse scelto per una sua pellicola. Ero al settimo cielo e pensavo: «Oddio, avrò un ruolo come Monica Vitti?». Non che fossi in competizione con lei, per carità, ma la adoravo, desideravo somigliarle, così brava. Ma non mi ci potevo minimamente avvicinare. Era un modello irraggiungibile, che ho sempre ammirato e imitato. Una vera mattatrice della commedia italiana».

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