in

Tommaso Ragno: «Fargo 4? È stato come giocare alle Olimpiadi»

Tra Donatello Fadda e Nanni Moretti, Carmelo Bene e Il Miracolo: l’attore si racconta a Hot Corn

tommaso ragno

ROMA – Oltre trent’anni di carriera trascorsa sulle assi dei palcoscenici di tutto il mondo, cinema, radio, tv e un ruolo, quello di Padre Marcello, sacerdote ludopatico in piena crisi di fede protagonista de Il Miracolo di Niccolò Ammaniti, a consacrarlo al grande pubblico. Ora Tommaso Ragno si prepara a tornare sul piccolo schermo nei panni di Donatello Fadda, gangster italiano che si contende il potere nella Kansas City degli anni Cinquanta con la banda di afroamericani capeggiata da Chris Rock in Fargo 4 (dal 16 novembre su Sky). Lo abbiamo contattato telefonicamente per parlare dell’esperienza americana – condivisa con Salvatore Esposito, Francesco Acquaroli e Gaetano Bruno -, della potenza narrativa e visiva di Fargo ma anche della sua carriera, dei film in cui presto lo vedremo – «Tre Piani? Non c’è niente da fare. Il cinema è dei registi e il teatro degli attori. È stato stupendo essere diretti da Nanni Moretti» -, di Carmelo Bene e quel suo auspicio (profetico) per il teatro.

Quello che colpisce del suo personaggio in Fargo 4 è la capacità di parlare con il corpo, senza bisogno di parole, attraverso una serie di gesti. Come ha costruito Donatello Fadda?

Quando Noah Hawley mi diede l’indicazione di fare il gesto di alzare il cappello alla Clint Eastwood, lo trovai formidabile. Nella sintesi di un gesto come quello, oltre ad aver avuto la fortuna di avere una sceneggiatura scritta da Padreterno, è stato più che facile creare il personaggio. Perché un gesto del genere, in rapporto alla storia e alle relazioni in cui i personaggi interagiscono, contiene molti stimoli. Quando ho letto la presentazione del mio personaggio c’era scritto: “Donatello Fadda: è come una tigre della foresta. È venuto a bandire la fame per sempre”. C’è un connotato immediato per un attore dietro un’indicazione del genere. Poi quando ti trovi sul set e ti viene indicato di fare un determinato gesto, capisci tutta una serie di cose e si accende l’immaginazione. Il mio personaggio non parla moltissimo, è tutto molto dettato sulla presenza e in questo è stata una fortuna il fatto che Fargo sia dotato di una forza visiva che permette di ricordarsi anche dei personaggi non protagonisti per la precisione con cui è segnata ogni loro apparizione. C’è una grandissima precisione. Americans do it better. Lo riconosciamo tutti, specie di una serie così.

tommaso ragno
“I introduce you Donatello Fadda”. Uno scatto condiviso dall’attore su Instagram

In Fargo 4 lei recita in italiano e in inglese, oltre ad essersi doppiato per la versione italiana. Quanto influisce questo sulla recitazione?

La lingua è un altro elemento non secondario. Il fatto che si possa avere la fortuna di recitare in un’altra lingua e che in Fargo siano molte, vista la provenienza dei personaggi da Paesi diversi che compongono un’America fatta da emigranti – oltre che dagli indiani nativi -, diventa fondamentale. Anche quella dà una connotazione fisica alla recitazione, a livello prettamente attoriale ti modifica, ti dà una postura. Il fatto di poter fare lo switch dall’italiano all’inglese come personaggio, e non solo per le battute ma anche per il modo di porsi, dà un tipo di corpo a seconda della lingua che utilizzi.

Uno scatto dal set di Fargo 4

Condivide la scena con Jason Schwartzman e Chris Rock. Com’è stato relazionarsi con loro?

Con Jason ci siamo dati consigli a vicenda recitando ognuno nella lingua dell’altro. È un attore formidabile, raffinato, spiritoso. L’impressione è che fosse molto semplice averci a che fare. Credo sia una loro caratteristica nazionale. E questo aiuta molto. Una mattina, erano le tre e stavamo al trucco, entra Chris e gli dico “Come va?”. E lui mi risponde: “Good, I’m doing Fargo!”. Come dire “Sto andando sulla Luna, come vuoi che mi senta?”. Aveva il piacere di prendere parte a un progetto stupendo e penso anche per lui sia stata una sorpresa essere preso. Ma ho visto che è stato così per tanti attori come, ad esempio, Ben Whishaw. Per chi sa cosa significhi Fargo è stato come trovarsi alle Olimpiadi. È stato un sogno a occhi aperti. E non che altre volte, ad altri livelli, non sia così, se penso che ogni volta mi sembri un miracolo riuscire a continuare a lavorare. Ma l’aggiunta di una dimensione mitica come quella che ha Fargo risulta essere quanto di più desiderabile. Ho impiegato mesi per capire di aver fatto quest’esperienza. Non che non mi rendessi conto, ma c’erano altre emozioni in quel momento. È stato come giocare con grandi campioni. È quella la fortuna: avere avuto un tempo per poter vedere gli altri attori, come lavoravano. E poi questo tipo di provenienze diverse scatenano una grande energia su un set.

Jason Schwartzman e Tommaso Ragno un una scena di Fargo 4

Il provino lo ha fatto in Italia o in America? Ricorda il suo primo giorno sul set di Fargo 4?

Ho fatto un provino in Italia con il casting di Barbara Giordani e Francesco Vedovati. Ci tengo a dire i loro nomi non soltanto per una questione di crediti ma perché il lavoro dei casting italiani è fondamentale. Sono una parte importantissima della catena lavorativa. Abbiamo mandato il provino negli Stati Uniti e ha passato l’approvazione dello Studio, della produzione, dello showrunner e via dicendo. Il mio primo giorno sul set? Me lo ricordo bene. Ha coinciso con la scena in cui le due bande s’incontrano. Quando arriviamo sul set, a un’ora da Chicago, vedo tutte quelle persone, realizzo che stiamo per girare e penso: “Ok, se sbaglio qua mi mandano a casa!”. Hanno iniziato a venirmi in mente pensieri su cosa potevo fare nella scena e vado da Noah. Inizio a dirgli: “Avrei pensato di fare…”, lui mi ferma, molto gentilmente, e mi dice: “Non ti preoccupare, mi fido”. Quest’assunzione e concessione di responsabilità mi ha liberato. Il fatto che un regista si fidi di te fa realmente l’80% del lavoro. Senti di essere stato scelto perché pensano che sei giusto per quel ruolo mentre tu non l’hai ancora realizzato. C’è una differita nella percezione…

tommaso ragno
La prima scena girata da Tommaso Ragno in Fargo al fianco di Chris Rock. CR: Elizabeth Morris/FX

Secondo lei perché il pubblico è così attratto dalle crime story?

È qualcosa che ha a che fare con gli inizi della tragedia greca. Il potere è anche sexy, e non mi riferisco alla becera dimensione esibizionistica. Ha una capacità di esprimere diverse cose. Innanzitutto il fatto che siano famiglie. E le famiglie sono delle forze terribili nelle tragedie greche. Anche in una serie come Fargo il corpo di un gangster ha qualcosa di sexy come accade ne Il Padrino. Non so da cosa sia dettato. Se dall’effetto ombra che esce fuori, non essendo personaggi così netti ma sfumati. Molto spesso sono personalità fragili e questa fragilità è ciò che secondo me rende attraente questo tipo di mondo perché ti dà una gamma di possibilità, se scritta come è scritta Fargo. Chiacchierando con Noah, riferendosi alla serie, mi ha detto: “It’s funny, but it not supposed to be funny”. Una dimensione di humor nero che richiede anche una certa sottigliezza nella capacità di restituire. I corpi di questi afroamericani, irlandesi e italiani creano un’energia erotica molto forte. E mi riferisco a quanto può essere profondo il legame che puoi stabilire con lo spettatore, al di là del fatto che tu stia vedendo dei criminali, perché alla fine te ne innamori. Li ami anche nella loro efferatezza. Questa cosa ogni volta è in mano anche allo spettatore. Se gli dico: “È una storia di gangster”, sa già cosa vedrà. Se gli dico: “È una storia di gangster di Fargo”, sa cosa lo aspetta, ma al tempo stesso non lo sa.

Jason Schwartzman e Tommaso Ragno in Fargo 4. CR: Elizabeth Morris/FX

Quello che colpisce in questa nuova stagione di Fargo è la riflessione sull’identità dell’America a partire dal pregiudizio…

È incredibile. Si è trovato a essere profetico senza saperlo se pensiamo agli sviluppi di quello che è accaduto in questo lungo anno. Ma è anche vero che certe volte ci inciampi dentro alle cose e questa serie lo ha fatto. Anche se ogni serie di Fargo è un racconto sull’America. Questa quarta stagione mi ha colpito moltissimo proprio per questo. Noi guardiamo all’America come fosse un nostro figlio. E la sensazione che ho è il pensiero di come si deve crescere un figlio che è stato generato da un massacro di venti milioni di indiani. Questa serie lo racconta molto bene. Non parlando della situazione attuale, usando quindi altri mezzi, il racconto di Fargo riesce a farlo anche nella dimensione mitica con cui noi europei vediamo all’America. C’è una battuta che dice Jason Schwarztman: “Ti piacciono le crime story? L’America è nata su una crime story”. Oppure quando
E’myri Crutchfield in una scena dice: “Hanno deciso che eravamo criminali appena abbiamo messo piede qui”. È formidabile e dice una cosa sacrosanta. Con tutta l’ironia che c’è dentro, perché ad averla scritta è un americano. C’è una consapevolezza storica.

Chris Rock e Tommaso Ragno in una scena dal primo episodio di Fargo. CR: Elizabeth Morris/FX

Lei si rivede?

Dal momento in cui giri a quello in cui l’opera è finita passa del tempo e sei diventato qualcun altro. Rivedersi suona sempre un po’ strano perché sei cambiato e non sei più quello di quel momento lì. Non è come il teatro che puoi modificare sera per sera. Quindi magari ti ritrovi a vedere una scena e a dire “No, no, cos’ho fatto!”. Oltre a questo c’è anche una dimensione dettata dal fatto che vuoi capire cosa hai fatto. Rivederti può suonarti strano, come quando rivedi una foto di te dopo tempo. Ma hai bisogno di staccarti e vedere l’opera completa. Qualunque attore dica il contrario sta mentendo.

tommaso ragno
Tommaso Ragno in una scena di Fargo

Il successo del grande pubblico è arrivato grazie al personaggio di Padre Marcello ne Il Miracolo di Niccolò Ammaniti. Sì è ritrovato a rifiutare molti progetti dopo quel ruolo?

No, la conseguenza è stata un’esposizione maggiore del normale. Per molto tempo pensavo di non essere adatto per la camera cinematografica italiana. Lo vedevo dagli esisti discontinui. Quando mi è stato affidato quel ruolo, con quella responsabilità lì, mi sono chiesto se sarei riuscito a farlo.
Ho lavorato trent’anni in teatro e ho avuto modo di solidificare la mia professione e non mi capitavano materiali cinematografica come quelli teatrali, con quello spessore. Credo anche che se ho avuto la fortuna di questa maggiore esposizione da un certo momento in poi è stato dettato soprattutto dal materiale. È stata una congiuntura molto importante. Molto è dovuto alla scrittura e alla felicità con cui per personaggio è stato scritto da Niccolò Ammaniti. Si vede che si è proprio diverto a scriverlo. E io mi sono diverto moltissimo a poter andare in zone così lontane dalla vita normale. È Jekyll e Hyde fare l’attore. Il mio Mr. Hyde è potuto uscire così, con quel personaggio, permettendomi di portar fuori cose che non sapevo se ero capace di far uscire. Padre Marcello mi ha dato più luce in me, in un senso anche tecnico.

tommaso ragno
Tommaso Ragno è Padre Marcello ne Il Miracolo

Un altro ruolo formidabile è quello di Tancredi in Lazzaro felice…

Lazzaro felice è un vero regalo per un attore. Essere in quel film per me è come essere in Fargo. La cinepresa non sa se tu stai girando una pubblicità per il sugo o se stai girando Fargo o Lazzaro Felice. È imparziale. Credo sia doveroso mantenere la stessa moralità in tutti e tre i casi per dare dignità al tuo lavoro e rispettarlo. Essere nel mondo del film di Alice Rohrwacher per me è stato un regalo incredibile.

Tommaso Ragno e Adriano Tardiolo in una scena di Lazzaro Felice

Lei guarda le serie TV?

Sì, ma non ho tempo per avere gusto. Spesso vedo le cose perché magari un altro me ne ha parlato. Prima del lockdown, alle cene, l’argomento finiva inevitabilmente sulle serie. E molte le ho viste così, per seguire la passione che un’altra persona mi aveva trasmesso per un certo titolo. Poi magari rimanevo deluso. Ma non perché fosse brutta la serie, semplicemente non ero pronto io come spettatore in quel momento. Recentemente ho visto La regina degli scacchi, di cui avevo letto il libro molti anni fa, e The Last Dance su Michael Jordan. Non sapevo nulla di basket ma non è necessario per apprezzarla perché è un racconto epico dove ti rendi conto che i giocatori di quel livello sono forse l’ultima vera tragedia greca teatrale. Un’emozione incredibile.

The Last Dance

Presto la vedremo al fianco di Sergio Castellitto ne Il Cattivo Poeta. Cosa le ha lasciato quest’esperienza?

Interpreto la figura, realmente esistita, dell’architetto personale di Gabriele D’annunzio al Vittoriale, Giancarlo Maroni. Le mie scene le ho girate tutte lì con Sergio Castellitto. È sempre molto bello poter fare un film in costume. Un film su D’annunzio è importante che ci sia. È stata una figura, tolta anche dalla conoscenza didascalica data a scuola, imponente. Girare in quel posto è stato un privilegio, potevi renderti conto di cosa è stata l’Italia in quel periodo, in quella parte del Paese. Una figura adatta al tempo cinematografico perché aveva un senso di quello che noi oggi definiamo dello spettacolo. Ho capito meglio D’Annunzio dopo essere stato al Vittoriale. Un luogo che, a sua volta, è un’opera d’arte.

Uno scatto condiviso da Tommaso Ragno dal set di Fargo 4

Un suo post Instagram recita: “Una società che non onora i propri artisti si merita i propri reality”. Al momento i cinema sono chiusi ma i set continuano le loro produzioni. Per il teatro, invece, lo stop è stato totale…

La pandemia ha messo in evidenza ciò che già da tempo era un tema. Non ho la sensazione che in Italia del teatro interessi. Non ho mai avuto la sensazione, a parte il fatto che fosse sostenuto da noi come categoria, che fuori qualcuno ci reclamasse in scena. L’uscita nel mondo di questo virus è stata davvero importante. Mi auguro sinceramente che nulla sia più come prima. Non può essere. Non so quanto tempo ci metteremo a capire che siamo stati trasformati. Certe volte passo davanti un teatro chiuso e penso: “Ma gliene fregherà davvero qualcosa alla gente?”. Secondo me no. Questa storia dell’andrà tutto bene mi aveva stancato già quando era uscita. Non ci avevo mai creduto perché non c’erano i presupposti da prima. Durante il lockdown non ho scoperto niente di più di quanto non sapessi già prima. È un dolore vero vedere spazzata via questa realtà civile. Ma ce n’è anche una più profonda, tragica e importante come diceva Carmelo Bene che si augurava un silenzio per il teatro, senza che ci fosse bisogno di guerre che considerava un cavillo. “Ci vorrebbe una grossa epidemia”, diceva, “E allora potremmo ricominciare da capo a ridere”.

  • Fargo 4: Chris Rock e Salvatore Esposito gangster negli anni Cinquanta

Tommaso Ragno e Salvatore Esposito raccontano la loro esperienza in Fargo 4:

Lascia un Commento

zeroville

Zeroville | Arriva in streaming la commedia diretta da James Franco

TOP CORN | Il Lago delle Oche Selvatiche, la Cina e quei lampi di bellezza