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Roger Waters, il dietro le quinte del mito e la necessità dell’atto politico

Arriva in digitale Us + Them, ma la sorpresa è il documentario finale: A Fleeting Glimpse

Roger Waters
Roger Waters: il suo Us + Them, ora in streaming, era passato alla Mostra di Venezia fuori concorso.

MILANO – «Siamo quel che resta del circo e tutti quelli che lavorano a questo concerto sono qui perché è così che vogliono vivere…». Una delle cose più belle di Us + Them – che arriva ora in streaming dopo il passaggio alla Mostra di Venezia e i tre giorni in sala (lo trovate in digitale qui) – arriva solo alla fine del concerto filmato da Sean Evans, oltre le due ore di musica, perfino dopo i titoli di coda cantati dai bambini. Si chiama A Fleeting Glimpse ed è – letteralmente – uno «sguardo fugace» sul dietro le quinte del concerto, un’istantanea di venti minuti filmata quasi interamente in bianco e nero (sgranato, bellissimo) sulla vita di un uomo di settantasei anni che rifiuta di diventare un vecchio dinosauro, nonostante i Sex Pistols lo definissero così già alla fine degli anni Settanta.

Roger Waters
A Fleeting Glimpse, il breve documentario alla fine di Us + Them.

«Ginseng!», urla Roger Waters a un certo punto del documentario, uscendo a petto nudo dal suo camerino, prima di finire a passeggiare nel corridoio che porta al palco per osservare attentamente le foto appese ai muri e capire chi sono i musicisti incorniciati: «Fuck you. Where is my fuckin’ photo?», chiede, ridendo, prima di fissarsi su un’immagine e urlare: «Oh no, no, fuck me, questo è MC5 come si chiama, dai, quello di X Factor». Il suggerimento arriva da Jonathan Wilson, chitarrista del tour, lì al suo fianco: «No, no, Roger, è Adam Levine, Adam Levine» (cantante dei Maroon 5, da cui il nome sparato da Waters, nda). A questo punto lui finge un conato di vomito e dice: «No, è Madama Indovina o qualcosa del genere».

«Ginseng!». Roger Waters nel suo camerino prima del concerto.

Insomma, un pugno di minuti per distruggere la figura del pomposo idiota integralista creato – certo, anche per colpa sua – dai tempi della diatriba con Gilmour e conseguente fine dei Pink Floyd. Ma in A Fleeting Glimpse non c’è tempo per la nostalgia, non c’è nemmeno la voglia della retorica rock, ma solo un’enorme necessità del presente, la voglia di esserci, a tutti i costi, di dare senso a ogni gesto, di creare qualcosa ora, senza la celebrazione dei giorni che furono. «Siamo qui ed è entusiasmante essere qui», riflette a un certo punto, prima di mettersi a dialogare con le coriste – con una birra in mano – su quale sia il modo migliore di affrontare una canzone.

Roger Waters
«Fuck you. Where’s my fuckin’ photo?». Non fate arrabbiare Roger Waters…

Insomma, Waters oltre Waters, l’uomo dietro la leggenda: potrebbe vivere mettendo in scena la mummia dei giorni gloriosi (vedi Rolling Stones, sì), invece ambisce a creare uno show in cui l’atto politico è fondamentale quasi quanto l’aspetto sonoro e non importa se così facendo si inimica una parte del pubblico o dei suoi vecchi fan perché la (sua) realtà è questa. «No, non è una buona idea costruire muri», dice a un certo punto, «e no, non è una buona idea puntare il dito verso gente di altri Paesi, ma se questo concerto possa avere qualche effetto o influenza su chi lo vede, non ne ho idea». Poi si mette a giocare con le maschere dei maiali, chiedendosi come e quando indossarle durante Pigs che, nella nuova versione, è completamente costruita su Donald Trump.

Roger Waters
Le mani.

Così, in un momento in cui sui social migliaia di utenti chiedono agli artisti che parlano di politica di smetterla e«stick to music» – ovvero parlare solo di musica, un’idiozia totale arrivata perfino a Tom Morello dei Rage Against The Machine, non esattamente i Pooh – Waters ignora il politically correct, non ha paura di prendere posizioni radicali, difende Julian Assange, richiama l’attenzione sulla Palestina dalla sua pagina Instagram e accusa la polizia per le violenze durante le proteste del Black Lives Matter. Alla faccia del dinosauro.

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