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Giacomo Abbruzzese: «Disco Boy, la guerra, il suono di Vitalic e quel soldato in discoteca»

I riferimenti, il suono, l’immagine, il cast e quella storia da raccontare. La nostra intervista al regista

MILANO – «Dieci anni fa in una discoteca in Puglia ho incontrato un ballerino che era stato anche un soldato. Da lì è nato tutto…». Chissà quale discoteca della zona di Taranto, di dove è originario il regista, doveva essere quella in cui a Giacomo Abbruzzese si è accesa la lampadina per il suo esordio, Disco Boy. E chissà se dieci anni fa immaginava di portarlo alla Berlinale con tutto il successo che ne è seguito e il clamore che si porta ancora dietro dopo la fine del festival, in attesa dell’uscita in sala. «A Berlino sono venuti a farmi i complimenti Kristen Stewart, che era presidente di giuria, e Johnnie To, e l’entusiasmo da parte della stampa internazionale e del pubblico mi ha veramente toccato…». Al telefono in conversazione con Hot Corn, Abbruzzese non nasconde la felicità per il riscontro ottenuto, ma ci tiene anche a precisare degli aspetti importanti del suo esordio, di come è solito lavorare e della sua estetica.

Un dettaglio del poster di Disco Boy.

LA STORIA – «Disco Boy ha avuto una gestazione molto lunga: già quindici anni fa facevo delle ricerche sul MEND (The Movement for the Emancipation of the Niger Delta, nda), il primo gruppo ecologista ad imbracciare le armi, perché mi affascinava che questa specie di avanguardia arrivasse dall’Africa, uno dei Paesi più inquinati al mondo. Poi mi sono chiesto quale corpo militare mi sarebbe interessato raccontare e ho pensato alla Legione straniera, per la potenza iconica. Ci sono state quindi più genesi in questo processo, anche perché Disco Boy era un film definito impossibile come opera prima per il contesto del cinema attuale. Io volevo fare un film di guerra atipico, in cui per la prima volta l’altro esistesse veramente e non fosse solo un nemico o una vittima che vive solo in funzione della sua morte o del tempo che ci mette a sparare. Nel film questo altro esiste pienamente ed ha una sua storia».

 Disco Boy
Franz Rogowski, il protagonista di Disco Boy.

IL CAST – «Alcuni nomi, come Franz Rogowski nel ruolo principale e Vitalic alla colonna sonora, erano associati al film già da cinque anni. Laëtitia Ky invece l’ho trovata dopo due anni di casting tra Roma, Parigi, Bruxelles, Londra e Nigeria: è stato un processo lungo e difficile, perché trovare una persona che potesse incarnare ed essere credibile da un lato in un villaggio sul Delta del Niger e allo stesso tempo risultare iconica in un club di Parigi, era difficile. Alla finel’ho trovata dopo che la mia produttrice francese mi aveva suggerito un film, La Nuit des Rois, che era passato a Venezia nella sezione Orizzonti nel 2020, in cui c’era Laëtitia con un piccolissimo ruolo – muto tra l’altro, quindi difficile da valutare. Le ho fatto dei casting a distanza e ho visto che era brava; quindi, l’ho invitata a Roma per un cast incrociato con Franz e Morr Ndiaye, e lì ho capito di aver trovato il trio di protagonisti».

Disco Boy
Una delle rivelazioni del film: Laëtitia Ky

IO E VITALIC – «Da subito ho pensato che la musica di Vitalic fosse giusta per Disco Boy, perché ha questa elettronica che può essere allo stesso tempo ipnotica, lirica e melanconica. Erano elementi che cercavo in Disco Boy, per andare verso una verticalità proprio dove non te l’aspetti. Gli ho parlato del film, lui ha letto la sceneggiatura e poi gli ho inviato diverse immagini, delle reference all’interno della sua discografia ma anche esterne. Poi gli ho chiesto di fare dei pezzi prima del film in modo da far ascoltare la sua musica alla direttrice della fotografia di Hélène Louvart e agli attori, per creare già delle coreografie. In questo modo volevo impregnare fin da subito il film con il suo stile. Poi un’altra parte delle musiche le abbiamo fatte dopo in montaggio anche in base alle esigenze che avevamo».

Vitalic
Pascal Arbez-Nicolas in arte Vitalic, autore dello score per Giacomo Abbruzzese

I RIFERIMENTI – «Nicolas Winding Refn? Sicuramente è un regista che rispetto. Too Old To Die Young credo sia il suo capolavoro e anche se è una serie, per me è il suo film migliore. Però lo considero lontano dalla mia sensibilità. In Disco Boy ci sono i neon e c’è l’elettronica, sì, ma ne faccio un uso diverso rispetto al suo, perché Refn ha questa tendenza a descrivere una certa iperviolenza con questi elementi, ed è una cosa che a me non interessa e che trovo molto problematica in questo universo di pornografia assoluta rispetto all’immagine. Oggi vediamo continuamente corpi morti: che siano di bambini, immigrati e di soldati e secondo me si è oltrepassata una soglia pericolosa: se io avessi un figlio morto in mare non vorrei vedere la sua immagine ovunque, così come se fosse un soldato morto al fronte. Sono questioni che non ci poniamo assolutamente, ma noi cosa vorremmo vedere al loro posto?».

Ispirazioni: i colori di Too Old To Die Young di Nicolas Winding Refn.

LA VIOLENZA – «In un film di guerra come Disco Boy non potevo ovviamente evitare il discorso della violenza, però per esempio lo scontro tra Aleksei e Jomo ho deciso di girarlo in camera termica in modo da avere una certa astrazione. Questo mi ha consentito di tenere la crudezza della violenza e allo stesso tempo già andare verso un altrove per aprire il film verso temi come la psichedelia e lo sciamanesimo. Per questo, anche rispetto a luoghi come i club ed a elementi come i neon, le scene dei balli ho deciso di girarle in una chiesa perché mi interessava usare questo tipo di stilemi in modo da tendere verso un’ascensione, verso la dimensione del sacro. Il rapporto tra l’essere umano e l’assoluto è sempre attuale anche quando facciamo finta di nasconderci da questa questione e penso che alcuni club siano dei luoghi in cui c’è questo rapporto con l’assoluto».

Disco Boy
Morr Ndiaye in un altro momento del film.

LE ISPIRAZIONI – «Difficile dire il mio regista preferito. Non mi piace quando giro una scena guardare ai film degli altri, ma ci sono autori che indubbiamente hanno costruito il mio sguardo e che ho amato profondamente. Pasolini e Antonioni. Fassbinder e Herzog. Godard e Kubrick. Scorsese e Tsai Ming-liang. Ce ne sarebbero altri, ma non è facile ed è ancora più difficile quando mi chiedono se ho un film preferito. Ci tengo a dire un’ultima cosa: per me l’unico modo di guardare Disco Boy, considerando il lavoro che c’è sull’immagine e il suono, è in una sala cinematografica. È un’esperienza da vivere al cinema. Quando si parla di psichedelia e sciamanesimo, comprenderlo mentre si sta sul divano a mangiare una pizza o un panino è piuttosto difficile…».

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