MILANO – Se siete stati adolescenti negli anni Duemila, è praticamente impossibile che vi siate persi Donnie Darko. Impossibile. Perché? Perché era il film di cui tutti parlavano, anche se non lo avevano visto (e non era semplice trovarlo e riuscire a vederlo). Era il cult che dovevi conoscere, o fingere di conoscere, per non fare brutta figura alle feste oppure nei discorsi della ricreazione. Era una specie di fantasy reale, intricato, complicato, con un attore completamente sconosciuto: Jake Gyllenhaal. Cognome impronunciabile, attitudine da adolescente instabile e sguardo triste. Insomma la combinazione perfetta per smarcarsi dalla massa e finire sui poster nelle camerette delle ragazzine che sognvanao qualcosa di diverso dal futuro. Perché, a volte, la carriera di un sex symbol può (anche) nascere dalle profezie di un inquietante coniglio di nome Frank.
Ma facciamo un passo indietro per chi è troppo giovane oppure è troppo cresciuto per ricordare. Il film – che fu presentato al Sundance il 19 gennaio 2001 e che ora ritorna al cinema fino al 5 giugno per i vent’anni dell’uscita italiana – ci riporta indietro nel tempo nel lontano 1988. Precisamente al 2 ottobre. In televisione George H. W. Bush e Michael Dukakis si sfidano per la presidenza degli Stati Uniti che vincerà il primo, dando il via poi alla dinastia Bush. A casa Darko, tipica villetta della middleclass nella contea di Middlesex, Virginia, il normale corso degli eventi viene sconvolto quando il motore di un aereo precipita improvvisamente sull’abitazione. Ne escono miracolosamente illesi il capofamiglia Eddie, la moglie Rose e i loro tre figli: Elizabeth (Maggie Gyllenhaal), Samantha (Daveigh Chase) e Donnie (Jake Gyllenhaal).
Ed è proprio quest’ultimo a scampare veramente alla morte, quando la sua stanza viene colpita in pieno nell’incidente. È Donnie che ha delle visioni che riguardano uno spaventoso coniglio. È lui, adolescente problematico ai limiti della schizofrenia, a dover scongiurare la fine del mondo prevista fra 28 giorni 6 ore 42 minuti e 12 secondi. In mezzo ci sono le incomprensioni famigliari, i bulli della scuola, The Killing Moon di Echo & the Bunnymen (pezzo invecchiato benissimo), l’amore per un’altra outsider Gretchen (Jena Malone), i consigli degli unici insegnanti disposti ad ascoltarlo (Noah Wyle e Drew Barrymore, che è anche produttrice del film) ma anche il conformismo che genera mostri come Jim Cunningham (un sorprendente Patrick Swayze). «Svegliati. Ti ho osservato a lungo. Sono qui, vieni. Più vicino. 28 giorni, 6 ore, 42 minuti, 12 secondi. Ecco quando il mondo finirà».
Di fatto la forza del film – presentato al Sundance sì, ma poi incredibilmente dimenticato e quindi nuovamente rilanciato dalla Mostra di Venezia nel 2004 come inedito – sta tutta nella capacità dell’allora esordiente Richard Kelly di raccontare l’adolescenza come un momento tetro, pieno di paure e dubbi lancinanti perché tutto sembra destinato a finire mentre davanti a te si apre la voragine del futuro. Un capolavoro labirintico firmato da un regista che poi si è perso completamente, ha girato The Box nel 2009 poi ha seguito la serie Southland Tales, ma negli ultimi quattordici anni di fatto non ha più diretto nulla. E oggi? Sembra che ora stia lavorando a molti progetti, ma nulla di concreto e soprattutto nulla all’orizzonte. Un altro mistero dentro al mistero.
Nel film, per uscirne ed evitare l’Apocalisse, Donnie seguirà le indicazioni contenute nel libro La filosofia dei viaggi nel tempo di Roberta Sparrow e sfrutterà la teoria dei wormhole, ovvero la stessa che molti anni più tardi ispirerà anche Interstellar di un signore di nome Christopher Nolan. Tutti gli altri, spettatori inclusi, resteranno lì a canticchiare le canzoni degli Echo & the Bunnymen, dei Joy Division e soprattutto la malinconica cover di Mad World, sapendo che quel film ha cambiato anche la loro vita. Come la nostra. E adesso? Una nuova generazione è pronta per abbracciare il film al cinema per la prima volta, ma la rivelazione la sappiamo già: Donnie Darko non solo non è invecchiato di un solo giorno, ma oggi ci dice molto più di quanto ci avesse detto ieri. «Svegliati. Ti ho osservato a lungo. Sono qui, vieni. Più vicino. 28 giorni, 6 ore, 42 minuti, 12 secondi. Ecco quando il mondo finirà…».
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