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L’altra faccia del calcio | Mean Machine e quando i cattivi scendono in campo

Un duro del calcio con il sogno della libertà: ma perché riscoprire l’inedito con Vinnie Jones?

Il gioco si fa duro: una scena di Mean Machine

MILANO – Tutti ricorderanno l’epica corsa di Burt Reynolds verso la meta, in quella battaglia tra secondini e prigionieri protagonista del cult Quella Sporca Ultima Meta, datato 1974 e diretto da Robert Aldrich. Ad altri verrà invece in mente l’omonimo remake (molto più comedy) uscito nel 2005, quando al posto di Reynolds c’era Adam Sandler (e già basterebbe). Altri ancora, invece, non ricorderanno affatto un altro rifacimento dell’opera di Aldrich, arrivato nel 2001 e diretto da un certo Barry Skolnick, regista inglese di cui si sono perse incredibilmente le tracce. Ed è un peccato perché il suo film, Mean Machine, è proprio uno di quei titoli sportivi da scoprire o rivedere (ora in streaming su TIM Vision e Apple TV+).

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Vinnie Jones a bordo campo

Inedito, ruvido e molto, molto divertente. Eppure, è soltato l’ennesimo remake, direte voi. Non proprio: in Mean Machine il football americano viene sostituito dal calcio, si strizza l’occhio ad un altro cult chiamato Fuga per la Vittoria (ehm ehm) e, soprattutto, nel ruolo del protagonista c’è un certo Vinnie Jones. Cattivo, sporco, spietato ex-calciatore gallese, con un passato, agli inizi dei Novanta, tra il Leeds, lo Sheffield e il Chelsea, prima di intraprendere la carriera d’attore, scoperta e feticcio di Guy Ritche, che lo volle protagonista di Lock & Stock e Snatch, spalancandogli la strada ad una carriera cinematografica affermatissima.

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Quando il gioco si fa duro…

Del resto, con quella faccia ammaccata non poteva essere altrimenti, e per buona gioia degli avversari, dato che il vecchio Vinnie, in carriera, detiente diversi record da nemico pubblico: un cartellino rosso dopo appena tre secondi, ben dodici esplusioni e un famigerato incontro ravvicinato con Paul Gascoigne, senza contare le numerose carriere spezzate a botte e tackle senza pietà. Eppure, in Mean Machine, Jones interpreta la parte di Danny, una sorta di cattivo sulla strada della redenzione.

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Guai a toglierli la palla. Vinnie Jones in una scena di Mean Machine

In galera per aver venduto una gara della nazionale inglese di cui era capitano (così da pagarsi i pesanti debiti di gioco), nonché irrimediabile alcolizzato. Il direttore del carcere lo ha voluto nella sua struttura, così da potergli affibbiare la panchina della squadra dei secondini. Le cose non vanno bene, c’è ostilità nei suoi confronti, in particolar modo da parte degli altri prigionieri. Così, Danny, propone al direttore di mettere su un team di detenuti, così da poter trovare una squadra di allenamento (ma rivale) a quella dei secondini. Com’è ovvio, il senso di rivalsa sarà fortissimo.

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L’urlo di Jason Statham, con la casacca dei Mean Machine

Dicevamo del regista, Barry Skolnick, che pareva essere, con l’esordio di Mean Machine, il più accreditato rivale di Guy Richie. Infatti, la sua pellicola, è pane per i denti dei calciofili, con una buona dose di trovate e di estro. Geniale l’idea di scegliere Jason Statham come portiere, così come quella di piazzare, nel bel mezzo della soundtrack, tra Robbie Williams e Marilyn Manson, addirittura Jovanotti con Muoviti, Muoviti. Tutto, in Mean Machine, è frizzante e agitato, dalle scene in puro prison movie a quelle giocate sul campo spelacchiato della prigione (con una curiosità, la torre del film, la Oxford Castle, era un vero e proprio carcere utilizzato fino al 1996). Ma, l’intera faccenda, si poggia sulle gambe di Vinnie Jones (nel film, in un cameo, c’è anche un altro gallese di lusso, Ryan Giggs), anti-eroe dalla cristallina durezza e l’innata capacità di sprigionare cattiveria (agonistica) al solo sguardo. Impossibile non adorarlo.

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